Una pagina di storia del cinema, ma anche di impegno civile è andata in scena domenica 16 ottobre, nell’ambito della 17a Festa del Cinema di Roma. L’occasione è stata fornita dalla presentazione in anteprima del restauro del film “La porta del cielo” (1945) di Vittorio De Sica, scritto a quattro mani con Cesare Zavattini; un’opera considerata per molto (troppo) tempo tra i titoli minori dell’autore neorealista, che a ben vedere sembra invece anticipare molte delle linee narrative e dello stile visivo proprie del neorealismo, mettendo in campo quel pedinamento del reale teorizzato da Zavattini.
La storia. Nei vagoni di un “treno bianco” in partenza da Roma alla volta di Loreto, si stipa un’umanità fragile e tragica, segnata da malattie incurabili. Malati e accompagnatori si stanno recando al Santuario per chiedere una grazia: la guarigione. Nel corso del viaggio si snodano dunque le storie di questi cercatori di speranza…
Messo in lavorazione durante la ferocia nazifascista nella Capitale, poco dopo l’8 settembre del 1943, il film “La porta del cielo” permise al regista De Sica, alla futura moglie, l’attrice María Mercader, e a una numerosa troupe (circa trecento persone), composta da addetti ai lavori ma anche da molte famiglie ebree, di salvarsi dalla vertigine del Male. Una lavorazione portata per le lunghe, con la speranza dell’arrivo degli americani, tenendo la troupe stanziale presso la Basilica di San Paolo fuori le mura (cui fece visita anche Mons. Giovanni Battista Montini, che raccomandò a De Sica di essere molto prudente in tempi così incendiari). La produzione era della Orbis film, legata all’Azione Cattolica.
Il restauro de “La porta del cielo” ha assunto un grande rilievo, per i motivi sopraindicati e anche perché le condizioni della pellicola risultavano molto compromesse, con il rischio di smarrimento dell’integrità dell’opera tutta. Mons. Dario E. Viganò, accademico e studioso di cinema, presidente del Centro di ricerca Catholicism and Audiovisual Studies (Cast) presso l’Università UniNettuno, ha messo in piedi una cordata che intreccia pubblico e privato, di cui si è fatta capofila l’ateneo, la Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia e la casa di produzione bergamasca Officina della Comunicazione, in collaborazione con l’Azione Cattolica. Obiettivo era ridare luce, visibilità, a un’opera a rischio oblio. Un film che racconta uno snodo della storia del Paese, sugli ultimi, spietati, anni della Seconda guerra mondiale, dove si unisce il retroscena salvifico di centinaia di vite umane, soprattutto di molte famiglie ebree, con il racconto di un pellegrinaggio catartico, un viaggio in treno in cui un’umanità piegata dalla malattia trova la grazia più nell’incontro solidale con l’altro che nel santuario.
“La porta del cielo” è una fonte storico-artistica di grande rilevanza, che apre alla comprensione della Storia condivisa, allargando il campo dello sguardo sugli snodi del cinema nazionale, sulle origini del neorealismo, così come sull’impegno della Chiesa nel farsi avamposto di sostegno non solo caritatevole e sociale, ma anche culturale. Il progetto del restauro è stato raccontato nella stessa sera dal bel documentario “Argento puro” diretto da Matteo Ceccarelli, una produzione targata sempre Officina della Comunicazione. Il doc è un appassionante viaggio nelle operazioni di recupero della pellicola, del passaggio da analogico a digitale, arricchito da interviste a storici, tecnici, esperti e protagonisti: da Alberto Anile (Conservatore della Cineteca nazionale) a Mons. Dario Viganò, da Christian De Sica a Gianluca Della Maggiore (direttore del Cast) e Giuseppe Notarstefano (Presidente ACI).
“Argento puro” è la cronaca di un salvataggio culturale, raccontata in maniera puntuale e avvolgente, impreziosita anche da una riuscita sfumatura emozionale. A ben vedere, sarebbe auspicabile che “La porta del cielo” così restaurata circolasse tra cinema, scuole e istituzioni insieme al bel documentario di Ceccarelli: un’operazione di sensibilizzazione storico-culturale a favore della memoria comune. Per non dimenticare.