Con i David di Donatello come film dell’anno e miglior regia, Paolo Sorrentino chiude il cerchio di un anno straordinario vissuto con “È stata la mano di Dio”. Dopo la vittoria del Leone d’argento alla 78a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia e la trasferta a Hollywood, tra Golden Globe e Premi Oscar, il film del regista napoletano che più racconta il suo passato, la dimensione intima e familiare, compreso il trauma per la prematura perdita dei genitori, ha trionfato alla 67a edizione dei premi dell’Accademia del cinema italiano. Nella cerimonia condotta da Carlo Conti e Drusilla Foer dagli Studi di Cinecittà e in diretta su Rai Uno, se Sorrentino si è imposto su tutti, a dominare la serata è stato anche Gabriele Mainetti con la sua opera seconda “Freaks Out”: una pioggia di riconoscimenti tecnici e soprattutto il David per la miglior produzione. Spiace registrare la quasi totale assenza di “Tre piani” di Nanni Moretti. Il punto Cnvf-Sir.
Se il cinema italiano è in cerca di rinnovamento
Sorrentino è ormai un veterano, un autore che si muove con disinvoltura tra Europa e Hollywood. Il suo film “È stata la mano di Dio” (targato Netflix) possiede però un respiro altro rispetto alle sue precedenti opere; sembra infatti percorso da una brezza leggera, del tutto nuova. Come nuovo e giovanissimo è l’attore Filippo Scotti, la sua scoperta, Premio Mastroianni a Venezia78 e nella cinquina dei migliori attori ai David. E sempre parlando di nuove generazioni, “È stata la mano di Dio” ha ottenuto anche il David Giovani, oltre a quello per la fotografia – andato ex aequo a “Freaks Out” – e per l’attrice non protagonista Teresa Saponangelo.
Gabriele Mainetti con il suo visionario “Freaks Out”, racconto della Seconda guerra mondiale, della Shoah, tra spettacolarizzazione, umorismo e sfumature fantasy, ha dimostrato di voler percorrere il sentiero della sperimentazione. Dopo la rivelazione “Lo chiamavano Jeeg Robot” (2016), la sua opera seconda sorprende soprattutto per l’impresa narrativa-produttiva, per il grande sforzo realizzativo di respiro internazionale. E l’Accademia del cinema italiano lo ripaga: David per scenografia, fotografia, effetti visivi, trucco e acconciatura, ai quali si aggiunge anche la miglior produzione realizzata dalla cordata Lucky Red, Goon Film, GapBusters e Rai Cinema.
La carica dei giovani
La vera novità dell’edizione 67 è probabilmente la carica di autori e interpreti giovani, molti dei quali esordienti. Anzitutto il premio per il debutto alla regia andato a Laura Samani per il poetico e dolente “Piccolo corpo”. Triestina, classe 1989, la Samani ha accolto il riconoscimento – consegnatole dagli innovativi registi Damiano e Fabio D’Innocenzo – tra sorpresa e gioia, ricordando come siano stati anni lunghi e faticosi per arrivare alla sua opera prima.
È giovane, anzi giovanissima, Swamy Rotolo, l’interprete del dramma sociale “A Chiara” di Jonas Carpignano che ha vinto il David di Donatello come miglior attrice protagonista. La diciassettenne esordiente si è imposta in una cinquina abbastanza “inedita”, composta per lo più da giovani attrici in ascesa: in lizza c’erano Aurora Giovinazzo (“Freaks Out”), Rosa Palasciano (“Giulia”), insieme alle più note Miriam Leone (“Diabolik”) e Maria Nazionale (“Qui rido io”). A essere onesti spiace, e molto, l’assenza nella cinquina di Margherita Buy per il ruolo in “Tre piani” di Moretti, lei che è il perno narrativo e poetico dell’opera, in un’interpretazione di rara e raffinata bravura.
La rincorsa dei giovani prosegue poi tra gli attori non protagonisti, con il premio a Eduardo Scarpetta per il film “Qui rido io” di Mario Martone, che ricorda la storia del grande comico napoletano Scarpetta e i primi passi teatrali della dinastia De Filippo. Il giovane interprete ha accolto commosso il suo primo David, dedicandolo alla memoria del padre perso a 11 anni.
Miglior attore protagonista si conferma invece il veterano Silvio Orlando, che con il ruolo nel dramma “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo conquista il suo terzo David. L’attore, dalla cifra ironica sempre inconfondibile, ha sorpreso per la commozione nel dedicare il suo premio alla moglie-collega Maria Laura Rondanini. Il film “Ariaferma” si è aggiudicato anche la miglior sceneggiatura originale – firmata dallo stesso Di Costanzo con Bruno Oliviero e Valia Santella –, mentre miglior copione non originale è stato ritenuto quello del film “L’Arminuta” sceneggiato da Monica Zapelli e Donatella Di Pietrantonio, dal romanzo omonimo della Di Pietrantonio.
Premi alla carriera e il ricordo dei maestri
Non poco emozionanti i premi assegnati al film “Ennio” di Giuseppe Tornatore, sentito e tenero omaggio al grande compositore italiano Ennio Morricone scomparso nel 2020. Davanti ai David vinti – miglior documentario, montaggio e suono –, il regista Tornatore ha dichiarato con composta commozione: “Un premio che ha un significato particolare. Alla domanda su quale sia la ragione del successo del documentario, mi sento di rispondere che è Ennio stesso. Il modo in cui si è voluto raccontare: si è rivolto al pubblico come a un amico”.
La scomparsa di Morricone risuona insieme al ricordo di quanti ci hanno lascato nel corso dell’anno come Monica Vitti, Lina Wertmüller, Piera Degli Esposti, Franco Battiato, Nino Castelnuovo e Gianni Cavina, momento “in memoriam” affidato alla performance musicale di Drusilla Foer. Questa mattina, 4 maggio, si è aggiunto purtroppo anche Lino Capolicchio, scomparso a 78 anni. Il pensiero va subito alle sue interpretazioni per “Metti, una sera a cena” (1969) di Giuseppe Patroni Griffi, “Il giardino dei Finzi Contini” (1970, ruolo con cui ha vinto il David di Donatello) di Vittorio De Sica e “La casa dalle finestre che ridono” (1976) di Pupi Avati.
Ancora, Premi David speciali alla carriera per le attrici romane Giovanna Ralli e Sabrina Ferilli, come pure per il regista napoletano Antonio Capuano. Quest’ultimo è stato premiato da Paolo Sorrentino che, proprio da Capuano, è stato aiutato da giovane nel percorso di inserimento nel mondo del cinema; nel film “È stato la mano di Dio” c’è un chiaro riferimento al suo contributo: sua è infatti l’incisiva raccomandazione “Non ti disunire, Fabio!”.
Il punto sui David e la cerimonia
Da un rapido bilancio dei premi, oltre a registrare la sostanziale assenza di candidature per “Tre piani”, è da notare come il film “Diabolik” dei Manetti Bros. sia uscito pressoché a mani vuote: forte di 11 candidature ha ottenuto solamente il David per la migliore canzone originale, “La Profondità Degli Abissi” di Manuel Agnelli. Fatta eccezione per il premio a Eduardo Scarpetta e per i costumi, l’opera di Mario Martone “Qui rido io” non ha dominato come previsto la serata, nonostante le sue 14 candidature.
Dal punto di vista televisivo, la 67a edizione dei David di Donatello si è svolta sposando una linea di matrice istituzionale, propria di un importante riconoscimento, senza rinunciare però a lampi di garbata ironia affidati al duetto (anche in toscano) tra Carlo Conti e Drusilla Foer, cui si devono anche performance musicali non banali. Nell’insieme l’andamento dello show è stato abbastanza fluido, senza troppi scossoni o sussulti. Forse un po’ più di ritmo e approfondimento in alcuni casi non sarebbero guastati, anzi. Va però ricordato che si trattava della prima cerimonia in presenza dopo i due anni di pandemia. L’evento comunque è stato valido, probabilmente anche migliore rispetto alle altre edizioni targate Conti.