Sogg.: Johannes Heide - Scenegg.: Johannes Heide, Jurcen Buscher, Joseph Vilsmaier - Fotogr.: (panoramica/a colori) Rolf Gremm, Klaus Moderfgger, Peter Von Haller - Mus.: Norbert J. Schneider - Montagg.: Hannes Nikel - Dur.: 138' - Produz.: Hanno Huth, Gunter Rohrbach, Bob Arnold
Interpreti e ruoli
Dominique Horwitz (Fritz Reiser), Thomas Kretschmann (Hans Von Witzland), Jochen Nickel (Manfred "Rollo" Rohleder), Sebastian Rudolph (Gege' Muller), Dana Vavrova, Martin Benrath, Sylvester Groth, Karel Hermanek, Heinz Emigholz, Ferdinando Schuster, Oliver Broumis, Dieter Okras, Zdenek Vencl
Soggetto
nel 1942, all'inizio dell'inverno, l'Armata germanica del dittatore Adolf Hitler è penetrata nell'Unione Sovietica: obiettivo dei tedeschi è Stalingrad, centro industriale e commerciale sul Volga. Durante una pausa di una cruenta battaglia due militari tedeschi, Fritz Reiser e Manfred "Rollo" Rohleder, insieme al giovane tenente Hans Von Witzland ed al beniamino della compagnia Gegè Muller, sentono dalla radio trasmittente, con grande sorpresa e amarezza, Hitler annunciare trionfante la presa di Stalingrad: loro sanno, come tutti gli altri soldati tedeschi in prima linea, che la battaglia per la conquista di Stalingrad è per loro uno dei combattimenti più terribili di tutti i tempi, un inferno di acciaio e di sangue. Mentre i soldati tedeschi lottano nelle strade della città, a distanza di pochi chilometri l'Armata rossa ha già circondato tutta la zona. I centomila soldati tedeschi della VI Armata hanno precise e severe istruzioni impartite dai loro generali: difendere a costo della vita la città occupata. Per Fritz, "Rollo", Hans, Gegè ed i loro compagni comincia, nel gelo dell'inverno, una disperata e crudele lotta per la sopravvivenza acuita dalla carestia. La sconfitta totale della VI Armata tedesca costituisce la svolta militare e psicologica decisiva della seconda guerra mondiale: il mito dell'invincibilità germanica viene meno e tanti esseri umani come Fritz, "Rollo", Hans e Gegè, ognuno a suo modo, pagano la follia omicida di politici e militari.
Valutazione Pastorale
tra i tanti film definiti "di guerra", questo di Joseph Vilsmaier è il più vero ed agghiacciante. Quello che comunemente si chiama spettacolo vuole essere e riesce compiutamente ad essere una denuncia della guerra e della sua follia. Il suo pregio e la sua validità sono l'alto potenziale umano, quei dialoghi fra i soldati, tesi a battersi non più per il grande Reich, ma per sopravvivere e tornare alle case ed agli affetti. Del martirio nulla è stato occultato o sottaciuto: le bombe, gli incendi, la fame, il freddo, le amputazioni, la condizione umana nella catastrofe sono descritte con quel realismo crudo che la guerra stessa di per sè esige. Ma non mancano gli slanci generosi, i sacrifici, le sfumature emotive, la volontà spesso animalesca di sopravvivere nella palude sporca, fatta di neve, fango, sangue ed arti in cancrena. I caratteri e la psicologia dei soldati intrappolati in un assedio terribile, risplendono come schegge di umanità, mentre costante lampeggia l'ansia di pace. Nella massa non manca la boria di ufficiali altezzosi e nazisti, il cinismo, il culto maniacale dei riti disciplinari, i suicidi e la paura. Un film duro e crudo, antimilitarista e realistico, di forte carica ma nel complesso misurato, nel quale l'orrore della guerra determinata dalla follia totale è denunciato a dovere, e non impedisce il riaffiorare di valori umani indistruttibili.