NON CHIAMARMI OMAR

Valutazione
Inaccettabile, Dissennato
Tematica
Genere
Grottesco
Regia
Sergio Staino
Durata
118'
Anno di uscita
1992
Nazionalità
Italia
Titolo Originale
NON CHIAMARMI OMAR
Distribuzione
Istituto Luce, Italnoleggio Cinematografico
Soggetto e Sceneggiatura
Francesco Tullio Altan, Sergio Staino tratto dal racconto "nudi e crudi" di Francesco Tullio Altari
Musiche
Carlo Maria Cordio
Montaggio
Nino Baragli

Sogg.: tratto dal racconto "nudi e crudi" di Francesco Tullio Altari - Scenegg.: Francesco Tullio Altan, Sergio Staino - Fotogr.: (panorama/a colori) Blasco Giurato - Mus.: Carlo Maria Cordio - Montagg.: Nino Baragli - Dur.: 118' - Produz.: Yarno Cinematografica

Interpreti e ruoli

Ornella Muti (Viola), Stefania Sandrelli (Monica), Gastone Moschin (Omar Tavoni), Georges Wolinski (Assiro Fez), Elena Sofia Ricci (Hanna Lefevre), Corinne Clery (Luisa Tavoni), Gianni Cavina (Bruno), Michele Mirabella, Victor Cavallo, Barbara D'Urso

Soggetto

in una giornata nebbiosa in una città dell'Italia del Nord, si "agitano" numerosi personaggi: Bruno, un anziano tassista, che lavora sempre portandosi dietro la moglie dalle gambe inerti (Monica); un tecnico-audio (Marconi) che sottrae la moto al figlio Saimon per andare al suo lavoro e lo lascia furibondo con la madre (Viola) in perpetuo stato ansioso; un traffichino, Assiro Fez, disprezzato dalla consorte Golda, impegnato in una trasmissione-radio e, infine, il chirurgo Omar Tavoni, proprietario di una clinica, coniugato con Luisa, nonché uomo misterioso assai. Dalla trasmittente, dove Tavoni, il conduttore (Carpioni) di una rubrica di successo ed una femminista tutta livore e frecciate (Hanna Lefevre) ospitano il questore ed un sottosegretario di Stato, lo stesso Carpioni insiste con il chirurgo perché diriga in diretta una operazione, da far eseguire da uno sprovveduto medico (Pizzetti): è nella sua clinica, infatti, che è stato portato dopo uno scontro il tecnico Marconi sbalzato giù dalla moto, del che si è occupato Bruno che poco prima aveva avuto come cliente un gigantesco uomo di colore, il quale sul taxi aveva trovato una valigetta del medico Tavoni. Lasciata temporaneamente sola, Monica sorride ad un aiuto-pizzaiolo (Nando), mentre per parte sua e disperata, la Viola teme per la vita del marito ma, al tempo stesso, ritrova Gastone un ex-innamorato (ora sposato e lei non lo sa). Fra battibecchi, bisturi comandati da lontano dal malcapitato Tavoni e maneggiati da un delirante Pizzetti, le corse delle donne e la valigetta che passa di mano in mano, si arriva alla fine della radiotrasmissione. La paralitica ritrova l'uso delle gambe; madama Tavoni si ribella al marito e Viola alza la voce sul figlio mezzo scemo, cavalcando lei la moto e beffandosi con le nuove amiche dei loro uomini (il suo è morto, così come è morto il pizzaiolo), non senza aver fatto crollare sul pavimento il gigantesco uomo di colore. Le tre donne, sentendosi ormai libere da ogni affanno, partono allegramente e l'astuta Lefevre si allontana, recando con sé e sicuramente per altri interessati i documenti riservati, che Omar Tavoni teneva gelosamente nella famigerata valigetta.

Valutazione Pastorale

traendo il soggetto da un racconto (scritto, non "disegnato" di Francesco Tullio Altan, altro disegnatore satirico come lui), Sergio Staino riconosce onestamente che "è difficile risalire dalla magica astrattezza e sinteticità del fumetto alla complessa organizzazione delle sequenze filmate". Nelle considerazioni che precedono "Non chiamarmi Omar" presentato al Festival di Venezia, Staino si è lasciato prendere la mano dall'ottimismo e dall'autoincensamento, affermando che il suo film è "bello e divertente". In tutta franchezza, questo non è vero. Anche la migliore disposizione e la più larga tolleranza di uno spettatore più che oggettivo, il film bello e divertente non lo è affatto. È squallido, affannoso e scollato ai limiti della farneticazione. I dialoghi (volutamente, forse) sono assurdi, si avanza a balzelloni e strappi, con una quantità di figurette (troppe, alcune delle quali con smaccata impudenza il regista definisce animate da "grandi star") e con battutine insulse. È ovvio che nel coacervo entra di tutto (la politica, il potere radio-televisivo), ma senza mai conferire al film non solo la forza ed il vetriolo del sarcasmo, ma neppure un minimo di graffiature superficiali. Fa difetto l'atmosfera e a dire il vero neppure si riesce a divertirsi. C'è la deformazione della realtà (e dei suoi modesti campioni umani) tipica de genere grottesco, ma il resto è stiracchiato, con fondata, purtroppo, impressione di un irreversibile e dissennato sconquasso.

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