Sogg.: dal romanzo "Notturno Indiano" di Antonio Tabucchi - Scenegg.: Alain Corneau, Louis Gardel - Fotogr.: (panoramica/a colori) Yves Angelo - Mus.: Franz Schubert - Montagg.: Thierry Derocles - Dur.: 110' - Produz.: A.F.C. Cine CINQ, Sara Film, Christian Bourgiois Productions
Soggetto
un "Indiano" trentenne è alla ricerca di un vecchio compagno di scuola, il portoghese Xavier Janata Pinto, di cui da un anno si sono perse le tracce. Parte per l'India e giunge a Bombay, dove pernotta in un albergo malfamato. L'indomani, su vaghe indicazioni raccolte da una prostituta, va a cercare l'amico in un ospedale; da qui, ancora seguendo indizi estremamente incerti, si reca a Madras con la sua inseparabile valigia, scoprendo, sgomento le infinite miserie dell'India più povera, e sforzandosi di coglierne l'anima religiosa. Raggiunge infine Goa, sempre alla ricerca dell'introvabile Xavier, col quale sembra essersi identificato. Nel suo vagare incessante s'imbatte in tipi strani: un ebreo che ha vissuto l'esperienza del lager nazista e va cercando, astioso, un medico tedesco di quel campo; un professore di teosofia che lo intrattiene sulle sue suggestive ipotesi. A Goa, un antico archivio abbandonato attira la sua curiosità e una strana veggente dall'aspetto deforme gli fa intendere che il suo vero io è altrove. Su quest'indicazione, "L'uomo" cambia improvvisamente itinerario e, dopo un bagno rituale nel mare di Oman, lascia intendere che, in realtà, il suo inquieto vagare era alla ricerca di se stesso. Dopo aver confidato a una fotografa incontrata nell'albergo le sue curiose vicissitudini, alla domanda di lei se tutto sia veramente accaduto o se le abbia raccontato un film, "L'uomo" non risponde, ma le sorride enigmaticamente.
Valutazione Pastorale
il fascino dell'omonimo romanzo breve di Antonio Tabucchi si riflette in questo film insolito e suggestivo, grazie alla fedele trasposizione cinematografica di Alain Corneau, sostenuta a sua volta dalla personale attrazione per l'India, che il regista dichiara esplicitamente. Non a caso l'India sfuggente e imprevedibile fa da sfondo sia al romanzo che al film: dall'infimo dei suoi aspetti di più totale abiezione, alle raffinatezze squisitamente orientali dei suoi ambienti più fastosi e sofisticati, ai paesaggi stupendi e vagamente inquieti che la caratterizzano, l'India è sempre presente, emblema essa stessa dell'indefinito e del mai raggiunto. Il protagonista non cessa di cercare un non mai identificabile Xavier, l'amico "che si è perso nell'India" e il cui ricordo, ora nitido, ora sfumato, s'intreccia con le proprie personali memorie di gioventù, evocando imprecisati giorni felici trascorsi con lui; una Magda e una Isabel che si confondono nel suo pensiero; un io e un'ombra del proprio io che fluttuano alternativamente, si identificano, si diversificano e si dissolvono. Quando, nelle ultime sequenze del film, l'uomo racconta, durante una scena da realismo-magico, l'intricata storia a una fotografa incontrata causalmente nell'albergo, non sa egli stesso che cosa in definitiva le vada raccontando, e lascia senza risposta la domanda finale della donna: "Mi ha raccontato qualcosa di realmente accaduto o la trama di un film?". Il realismo dell'intero racconto - continuamente sospeso fra una sorta di verismo descrittivo e di alone magico, comuni al film e al libro - mescolato alle divagazioni teosofiche, a raffinati rimandi letterari, al miraggio del mare in fondo a un sordido vicolo cieco di Filadelfia, raccontatogli dallo strano postino di Calungute, all'immaginario dell'anacronistico vecchio della biblioteca di Goa, col lugubre "topo morto", rivoltato dal suo stivale per il ribrezzo dell'ospite, alle profezie sibilline dell'indovina-mostricciattolo, appollaiata sulle spalle di un bambino solitario "dagli occhi bellissimi" non fa luce su quell'interrogativo. Forse la risposta va cercata nell'ultima breve battuta della deforme sibilla: "Vedo molte luci ... " e nel sorriso enigmatico del protagonista, che si congeda silenziosamente dalla fotografa, fortuita commensale notturna dell'hotel Oberoi, lasciando aperto l'adito ai significati più diversi, e stemperando il sottile nikilismo che serpeggia nel libro e culmina nell'amara battuta finale: "I miei topi morti mi aspettano". "Topi morti" gli interessi culturali, professionali e umani della vita? Valigia la "parvenza" dentro cui "viaggiamo"? Intercambiabili le Isabel e le Magde, non altrimenti che Cristo e il miraggio, la teosofia e il paranormale, l'allucinazione e la realtà. Raccomandabile - ancorché complesso ed arduo - proprio perché induce a riflettere sui grandi interrogativi che da sempre si pongono, non già "a un pubblico sofisticato", bensì ad ogni uomo che non abbia rinunciato a pensare: affascinante per la suggestione della fotografia e della musica, per l'impianto cinematografico originale dietro al quale si intuisce un'autentica mano d'autore; pregevole per l'intensa recitazione del protagonista Jean Hugues Anglade.