Sogg.: Bohumil Hrabal - Scenegg.: Bohumil Hrabal, Jiri Menzel - Fotogr.: (panoramica/a colori) Jaromir Sofr - Mus.: Jri Sust - Montagg.: Jrina Lukesova - Dur.: 104' - Produz.: Studio Barrandov, Praga
Soggetto
in Cecoslovacchia, negli anni 50 in un campo di lavoro forzato di Kladno, un piccolo centro non lontano da Praga, lavorano fra i rottami di ferro, ammassati da una industria siderurgica, giovani donne colpevoli di aver tentato l'espatrio e uomini di varie estrazioni sociali e culturali, per diversi motivi invisi ai cultori dell'ideologia dominante. Donne e uomini sono quindi costretti a lavorare nettamente separati e sotto stretta sorveglianza, e tenuti ad ascoltare le tiritere "rieducative" del funzionario di turno. Poiché la giovane guardia del campo, alle prese con problemi coniugali che lo angustiano, allenta di tanto in tanto la sorveglianza e finge di non vedere, fra il giovane cuoco Pavel e l'adolescente Jitka nasce un amore fatto di sguardi furtivi, sorrisi appena accennati e fuggevoli carezze con la complicità di uno specchietto che serve da richiamo col suo riflesso balenante. Decisi al matrimonio, i due giovani devono adattarsi a che si celebri per procura fuori dal campo, con un burocratico rito civile. Al momento d'incontrarsi finalmente in una baracca del campo, sommariamente adattata per loro dai compagni di prigionia, una battuta impertinente sfuggita a Pavel, seccato per il contrattempo di una delle solite visite "rieducative" che gli ritarda l'abbraccio con l'amata, divide nuovamente i due innamorati. Pavel viene fatto salire su una camionetta con altri prigionieri destinati per punizione a un periodo di duro lavoro in miniera, salutato dal balenìo fuggevole dello specchietto di Jitka, che intende confermargli fedeltà.
Valutazione Pastorale
girato nel 1968, durante la storica "primavera di Praga", e concluso nel 1969, dopo che i carri armati russi l'avevano già spazzata via, il film risente probabilmente della fretta del regista, certo presago della provvisorietà di quella breve parentesi di respiro e di speranza concesso al suo talento di narratore e alla sua terra martoriata. A momenti formalmente felici, si alternano infatti nel film momenti meno curati e qualche brusco stacco narrativo. La breve "ora d'aria" della "primavera di Praga" gli ha comunque consentito di raccontare una storia di soprusi e violenze - soprattutto morali - toccata a un gruppo di liberi cittadini, intellettuali e lavoratori, ridotti a una sorte comune dall'ottusità dispotica di un pugno di fanatici, asserviti a un'ideologia disumana. Così l'idillio di Pavel e Jitka, delineato da Menzel con malinconica tenerezza, gli diventa occasione di sferzate ironiche nei confronti di gregari dell'ideologia, ridicolamente sprovveduti, che, seguiti da un gregge servile di "portaborse", si tolgono la giacca, sciolgono di soppiatto la cravatta e sbottonano la camicia per figurare "proletari" davanti ai forzati, oppure ostentano una sedicente vocazione al lavoro, spostando qualche ferrovecchio senza sporcarsi le mani, ed esortando all'efficienza, mentre in privato abusano di minori, e si rivelano corrotti e maestri di corruzione. Così riesce a punteggiare di graffiante sarcasmo le dotte dissertazioni, apparentemente innocue, di qualche prigioniero colto, e a coprire di ridicolo la tronfia sicumera dei gerarchi. Il messaggio finale dei film è tuttavia affidato al guizzo di luce dello specchietto di Jitka sul volto di Pavel, e allo sguardo del ragazzo, che inabissandosi nella miniera, resta fisso fiduciosamente a quella luce che gli riappare nel riquadro di cielo dell'uscita sopra di lui: la chiarità della luce opposta al buio di un'ideologia senza orizzonti; la fiducia contro la diffidenza; l'amore contro l'oppressione; la forza dello spirito opposta al degrado dei rottami di ferro di una squallida discarica siderurgica; la speranza della primavera a trionfare sullo squallore deprimente di quel campo di lavoro forzato, scenografia quasi unica dell'intero film.