Orig.: Iran (2001) - Sogg. e scenegg.: Majid Majidi - Fotogr.(Panoramica/a colori): Mohammad Davudi - Mus.: Ahmad Pejman - Montagg.: Hassan Hassandust - Dur.: 94' - Produz.: Majid Majidi, Fouad Nahas.
Interpreti e ruoli
Hossein Abedini (Lateef), Mohammad Reza Naji (Memar), Zahra Bahrami (Rahmat/Baran), Hossein Rahimi (Soltan), Gholam Ali Bakhshi . (Najaf)
Soggetto
In un cantiere iraniano, tra operai di varia provenienza (tra cui clandestini afgani che scappano quando arrivano gli ispettori del controllo) viene accolto un certo Rahmat, in sostituzione del padre infortunatosi mentre svolgeva il ruolo di addetto al pranzo. A lavorare c'è anche il giovane Latif, 17 anni, estroverso e prepotente. Latif non vede di buon occhio che il nuovo arrivato, sempre silenzioso, si dedichi a cibo, cucina e alla cura delle piante. Così lo boicotta, gli procura danni, lo mette in difficoltà. Fino a quando, spiandolo dietro la tenda, non si accorge che si tratta di una ragazza dai capelli lunghi e lisci. Allora Latif, pur non dicendo niente, cambia atteggiamento e diventa protettivo. Quando tornano gli ispettori, Rahmat viene individuato come clandestino, e deve andare via. Recuperato il suo vero aspetto, Rahmat, che si chiama Baran, torna in Afganistan. Qui arriva Latif, che porta al padre di lei i soldi datigli dal capocantiere per il lavoro svolto. Latif e Baran hanno il tempo di scambiarsi un rapido sguardo. Poi lei si cala il burka sul viso e si allontana. Latif osserva l'impronta lasciata dalla ragazza che la pioggia sta cancellando.
Valutazione Pastorale
Ancora una volta dall'Iran arriva un film esemplare per asciuttezza e sobrietà espressiva. Una trama di pochi fatti e di azione limitata (siamo quasi sempre all'interno del cantiere) si apre al disegno di emozioni improvvise, al tratteggio di sentimenti implosi, all'alternanza, forte e insieme impercettibile, di gioia e dolore, di delusione e speranza. Se in filigrana, e senza gridare, si prospettano i delicati nodi sociali e religiosi dell'Iran odierno (ruolo della donna, rapporto uomo/donna, il lavoro), a prevalere è un tono quasi fiabesco che niente toglie a sfondi ambientali di azzeccato realismo. L'amore trasforma un rozzo operaio in un cavaliere; i gesti e gli sguardi contano più di tanti effetti speciali. A tratti i dialoghi scarni danno al racconto toni pedagogici e didascalici. Ma c'é un accento posto con convinzione su valori semplici, puri, autentici. Per questo dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come raccomandabile, e soprattutto poetico.
UTILIZZAZIONE: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, e da recuperare in molte circostanze come occasione di confronto culturale su temi di valenza universale.