Orig.: Italia/Germania/Svizzera (2010) - Sogg. e scenegg.: Michelangelo Frammartino - Fotogr.(Panoramica/a colori): Andrea Locatelli - Mus.: suoni d'ambiente - Montagg.: Benni Atria, Maurizio Grillo - Dur.: 88' - Produz.: Gregorio Paonessa, Marta Donzelli, Susanne Marian, Philippe Bober, Gabriella Manfré, Andres Pfaeffli, Elda Guidinetti.
Soggetto
In un paesino calabrese abbarbicato su alte colline vive i suoi ultimi giorni un ecchio pastore. E' malato e, dopo aver provato la medicina fatta, secondo tradizione, con la polvere raccolta dal pavimento della chiesa, muore. Nello spiazzo di terra nera di un ovile, una capra dà alla luce un capretto bianco. Il giorno della sua prima uscita, il capretto resta indietro rispetto al resto del gregge, si perde nella vegetazione, cerca invano di farsi sentire, finchè esausto si abbandona ai piedi di un grande abete. Di lì a poco, il maestoso albero viene tagliato. Prima è utilizzato per i giochi in paese come albero della cuccagna, poi viene mutilato e ridotto allo scheletro. Il legno bianco è trasformato in carbone. Il fumo della cenere ricopre il paesaggio intorno.
Valutazione Pastorale
L'essere umano, l'animale, il vegetale, il minerale: "In noi ci sono quattro vite successive, incastrate l'una dentro l'altra" é la rase attribuita da alcuni studiosi a Pitagora e indicata dal regista come idea per il titolo. "Abbiamo quattro vite e dobbiamo quindi conoscerci quattro volte" -aggiunge- In Calabria ho imparato a ridimensionare il ruolo dell'uomo, o almeno a distogliere lo sguardo da lui: si può liberare il cinema dalla tirannia dell'umano, che é un privilegio ma anche una condanna alla solitudine?". Niente attori, solo facce riprese da lontano; niente dialogo, solo parole troncate; niente musica, solo rumori d'ambiente. Frammartino si pone davanti alla nudità della natura con un cinema ugualmente nudo, spogliato di orpelli e artifici, povero ma più autentico. Di fronte alla volontà di guardare uno scenario di arcaicità assoluta, il rischio é quello di risultare anacronistici, fuori dalla storia. Se è scommessa, il regista la vince, nella capacità di azzerare pietismi e retorica, a vantaggio di un linguaggio asciutto, che si fa osmosi con le leggi immutabili della terra, il trascorrere delle stagioni, l'accettare l'inevitabile ciclo della nascita e della morte che tutti accomuna. Un viaggio in quelle zone che spesso non vediamo più, e non solo quelle geografiche ma anche dell'anima. Il film, dal punto di vista pastorale, é da valutare come consigliabile e nell'insieme poetico.
Utilizzazione
Il film é da utilizzare in programmazione ordinaria e da proporre in occasioni successive, ben ricordando la sua particolarità e originalità espressiva.