“L’altro volto della speranza” di Aki Kaurismäki nel ciclo di film proposto da Ucs e Cnvf per la 52a Giornata delle comunicazioni sociali
“Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti”. Così papa Francesco nel 52° Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, affrontando il tema “«La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Notizie false e giornalismo di pace”. Uno dei temi oggetto ricorrente di un’informazione claudicante o distorta è proprio quello dell’immigrazione e dell’integrazione sociale. Il cinema si è confrontato spesso con questo argomento, proponendo suggestioni di denuncia, problematiche, ma anche sguardi di speranza. Un racconto positivo, che sgombra il campo da pregiudizi e ambiguità, è il film “L’altro volto della speranza” (2017) di Aki Kaurismäki, terzo titolo scelto dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e dalla Commissione nazionale valutazione film della Cei per il ciclo di 16 film dedicati alla Giornata delle mondiale delle comunicazioni.
“L’altro volto della speranza”, il racconto di un’accoglienza costruttiva
Ha vinto l’Orso d’argento per la miglior regia al 67° Festival di Berlino (2017) “L’altro volto della speranza” (“Toivon tuolla puolen”) di Aki Kaurismäki, un film che affronta con leggerezza il tema dell’immigrazione e dell’inclusione. A bene vedere, però, non è il primo film che il regista finlandese dedica a questi argomenti, soprattutto con il suo inconfondibile stile narrativo, teso a raccontare la dimensione sociale attraverso i toni della favola surreale, conditi da un umorismo brillante e graffiante insieme. Basta richiamare infatti “Miracolo a Le Havre”, opera vincitrice anche del Premio come miglior film europeo nel 2011, assegnato dall’Organizzazione mondiale cattolica per le comunicazioni SIGNIS.
Con “L’altro volto della speranza” Kaurismäki ci accompagna direttamente nella sua città, Helsinki. È la storia del commerciante Wilkstrom (Sakari Kuosmanen) che investe i propri risparmi per aprire una nuova attività, un ristorante. Lì si presenta un giovane profugo siriano, Khaled (Sherwan Haji), in cerca di occupazione. Ben presto il locale di Wilkstrom diventa crocevia di un’umanità in cerca di riscatto.
Nel racconto del regista, Helsinki diventa l’emblema della società europea di oggi, chiamata ad affrontare il problema dei flussi migratori; una società che si interroga su come prestare ascolto e accoglienza alla richiesta di aiuto che viene dai tanti migranti provenienti da zone infiammate dalla guerra o ferite dalla povertà. Una comunità europea che vive queste emergenze anche con viva preoccupazione o persino pregiudizio, con la paura di vedersi sopraffatti dall’altro nella propria sicurezza sociale. Il bello del film di Kaurismäki è quello di aiutarci a leggere questo fenomeno da un’angolatura non convenzionale, di certo non angosciante.
Il regista si serve del suo abituale registro ironico e surreale, invitando lo spettatore a entrare nelle pieghe problematiche della questione con sguardo libero e pulito. Con “L’altro volto della speranza” Kaurismäki prosegue questa mission culturale: un’esortazione a non lasciarsi vincere dalla paura o dal sospetto verso l’altro. Non servono né barriere né rifiuti preventivi, bensì gesti di comprensione e solidarietà verso chi vive esistenze ai margini. Come ricorda bene anche Alessandra De Luca su “Avvenire”: “Quando sembra che non ci si possa più proteggere dallo spettacolo degli orrori del mondo, quando le immagini di violenza, sopraffazione, dolore ci sovrastano attraverso media e social network, quando proteste e denunce hanno la stessa potenza di armi scariche, allora è il momento di vedere un film di Aki Kaurismäki. Non perché il regista finlandese scelga un cinema di puro intrattenimento, al contrario. Kaurismäki non ha mai smesso di dialogare con il mondo esterno, ma ha scelto di raccontare ingiustizie e misfatti a modo suo, con leggerezza e poesia, senza accuse, polemiche, rabbia e facili giudizi, sempre attento a una umanità fragile, ma capace di mettersi all’ascolto dell’altro, di comprendere, di accettare e amare” (“Avvenire”, 15 febbraio 2017).
Nell’epoca delle “fake news” c’è bisogno di racconti attenti e rispettosi della realtà, con il coraggio di non inciampare in falsificazioni o in un’informazione emotiva, parziale. È per questo che l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e la Commissione nazionale valutazione film hanno scelto l’opera di Kaurismäki come titolo adatto a offrire uno sguardo di senso sul tema del Giornata mondiale delle comunicazioni 2018.
Valutazione pastorale della Commissione film Cei
È significativo ciò che il regista ha dichiarato al Festival di Berlino: “Con questo film cerco di fare del mio meglio per mandare in frantumi l’atteggiamento europeo di considerare i profughi o come delle vittime che meritano compassione o come degli arroganti immigrati clandestini a scopo economico che invadono le nostre società con il mero intento di rubarci il lavoro, la moglie, la casa e l’automobile”. Questo punto di partenza si traduce in un racconto capace di rinunciare a denunce e allarmi accorati, ad appelli e invettive a favore di un periodare calmo e altalenante, di uno scendere risalire lungo la corrente dei cambiamenti umorali e soprattutto attraverso quel dolente e irrefrenabile scenario dell’umorismo, che significa parlare di drammi senza essere drammatici, descrivere situazioni complicate senza essere disperati, guardare al peggio pensando che tutto può essere ancora risolto. Sui temi della solidarietà e del reciproco soccorso, il regista finlandese scrive ancora una volta una pagina acuta e pungente, con un approccio tanto coinvolgente quanto velenoso. Una volontà di esprimere pietà e comprensione in un film tanto incisivo quanto sorprendente che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
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