Riscoprire il rapporto padre-figlio. Vestire gli ignudi: The Judge (2014) di David Dobkin
Ricalibrare il rapporto genitori-figli
«Il rapporto tra genitori e figli deve essere di una saggezza, di un equilibrio tanto grande. Figli, obbedite ai genitori, ciò piace a Dio. E voi genitori, non esasperate i figli, chiedendogli cose che non possono fare. E questo bisogna fare perché i figli crescano nella responsabilità di sé e degli altri» (Udienza Generale, 20 maggio 2015). Papa Francesco offre continue suggestioni e richiami sulla famiglia, sui rapporti tra genitori e figli. Un richiamo, nello specifico, che cade sulla figura del padre, chiamato a essere presente in maniera significativa nella vita del proprio figlio. Tema che è al centro della proposta cinematografica di questa settimana, The Judge (2014) di David Dobkin, film che offre anche occasione per riflettere sull’opera di misericordia corporale “Vestire gli ignudi”.
Il film si inserisce nel ciclo cinema e Giubileo proposto dalla Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI – Fondazione Ente dello Spettacolo, d’intesa con l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI.
The Judge, padre e figlio in cerca di riconciliazione
Firmato dal regista statunitense David Dobkin, autore anche del soggetto con Nick Schenk, il film The Judge (2014) possiede tutti gli elementi per ottenere un ampio consenso di pubblico, presentandosi come un classico dramma giudiziario in pieno stile hollywoodiano, con due attori efficaci e perfettamente in parte, Robert Downey Jr. e Robert Duvall, quest’ultimo candidato ai Golden Globe e agli Oscar 2015 come miglior attore non protagonista.
È la vicenda dell’affermato avvocato Hank Palmer (Robert Downey Jr.), che fa ritorno nella città di provincia nella quale è cresciuto, per prendere le difese legali del padre Joseph (Robert Duvall), un anziano e popolare giudice accusato di omicidio stradale.
The Judge è costruito su due livelli narrativi. Anzitutto abbiamo il menzionato dramma giudiziario, con tutte le tensioni, investigazioni e dinamiche da tribunale, che richiamano i classici del genere legal. Il protagonista Hank è intenzionato a stabilire se il padre, uomo dalla condotta onesta e irreprensibile, possa essere colpevole o meno dell’incidente stradale. È inoltre pervaso dal dubbio, dinanzi alla sua possibile colpevolezza, se proteggerlo o meno da una condanna.
Secondo (e principale) livello narrativo è, poi, il rapporto padre-figlio, la relazione tra Hank e Joseph. Tra i due c’è un irrisolto conflitto sin dalla stagione dell’adolescenza. Hank, infatti, ha abbandonato la casa di famiglia per vivere un’esistenza altrove, nella grande città, perché schiacciato da una figura paterna dura e intransigente. Il ritorno al passato, nella cittadina d’infanzia, lo spingerà a ripensare al suo rapporto con il genitore, ad affrontare traumi del passato, per provare a ricostruire un legame nuovo, maturo.
Il film dunque mette in scena il riaffiorare del dialogo tra due solitudini, la ripresa di un legame mai del tutto sfibrato tra un padre e un figlio, entrambi in carca di riconciliazione.
Dal punto di vista della riflessione sulla misericordia – il richiamo all’opera di misericordia corporale “Vestire gli ignudi” –, il film offre indubbiamente un interessante contributo, sempre sotto il profilo del legame padre-figlio. I due protagonisti, seppure apparentemente equilibrati e risolti nelle loro vite, in realtà rivelano una profonda fragilità e insicurezza. Sono come svestiti della tenerezza di un legame affettivo e si aggirano come due solitudini in cerca di senso, di riscatto. È trovandosi di nuovo accanto, vicini, nel dramma giudiziario, che i due si accorgono della propria debolezza e dell’importanza di riannodare i fili di un legame, di fatto mai interrotto. È insieme, dunque, che trovano la grazia della riconciliazione, la reciproca misericordia.
Per approfondire con la Cnvf e Cinematografo.it
Commissione Nazionale Valutazione Film CEI: «Da sempre quello giudiziario rappresenta, nel cinema americano, un filone a parte, un vero e proprio “genere”, da considerare accanto al western. Ogni sottogenere è lecito, e lecitamente affrontato. Qui siamo al confronto non tanto giudice/corte o colpevole/innocente quanto a quello tra padre e figlio. Il che implica una serie di risvolti molto più sottili, profondi, delicati. La sceneggiatura segue con compattezza ogni sfumatura, la regia pedina cambiamenti sia geografici che interiori, i protagonisti offrono una prova di alta scuola drammaturgica e psicologica. Se ne potrebbe parlare a lungo, e insieme il risultato è di grande, efficacissimo intrattenimento. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti» (www.cnvf.it).
Rivista del Cinematografo – Cinematografo.it: «Diretto con maestria da David Dobkin, che ne ha curato il soggetto assieme a Nick Schenk ispirandolo alla sua esperienza personale, The Judge rivela una potenza espressiva disarmante. Puntando i riflettori sulle ombre di un piccolo centro e scavando tra le miserie umane, spiazza e convince. Riporta lo spettatore all’infanzia, lo spinge a ripercorrere legami parentali e familiari forse lisi o addirittura spezzati ma senza buonismi né retorica. Un racconto onesto, quindi, che spoglia di ogni orpello la Giustizia mostrando le fragilità dell’uomo dentro la toga. Una metafora splendidamente affrescata, che dosa i toni della narrazione con sapiente maestria, sfruttando l’immenso talento di interpreti camaleontici, che danno il volto alla pubblica accusa (Billy Bob Thornton), all’ex fiamma mai dimenticata (Vera Farmiga) e al novellino del foro (Dax Shepard). In pausa dal milionario filantropo/eroe Marvel e dal detective nato dalla penna di sir Conan Doyle, Robert Downey Jr. conferma di non aver bisogno di alcun superpotere né di effetti speciali per conquistare l’anima dello spettatore».
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