Chiamati a prenderci cura della “casa comune”
«Credo che (San) Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. (…) Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore». Sono le parole di Papa Francesco nella Lettera enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015), che ha offerto un’occasione di riflessione sui temi dell’ambiente e del Creato, fondamentali per la Chiesa cattolica e per la società tutta.
Cinema “verde”
Il cinema ha offerto nell’ultimo decennio delle significative suggestioni sull’importanza del rispetto della natura e del Creato, in un contesto globalizzato segnato da una crescente e talvolta aggressiva industrializzazione. Da Behemoth (Beixi moshou, 2015) di Zhao Liang, passato con successo alla 72. Mostra del Cinema della Biennale di Venezia e al 19. Tertio Millennio Film Fest, a Un mondo fragile (La tierra y la sombra, 2015) di César Augusto Acevedo rivelazione a Cannes 2015, non dimenticando Tracks – Attraverso il deserto (2014) di John Curran oppure Corn Island (2014) di George Ovashvili. Dall’Italia, sono certamente da ricordare Le Meraviglie (2014) di Alice Rohrwacher, Grand Prix al 67. Festival di Cannes (2014) e In grazia di Dio (2014) di Edoardo Winspeare passato al Festival di Berlino 2014. Film scelto per la settima scheda del nostro percorso verso Firenze, per il Convegno Ecclesiale Nazionale, è Il sale della terra (2014) di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, Premio Speciale Un Certain Regard al 67. Festival di Cannes (2014) e candidato all’Oscar 2015 come Miglior film documentario.
Il sale della terra
Il sale della terra (2014) di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado offre uno sguardo ravvicinato sulla vita e l’arte del fotografo brasiliano Sebastiao Salgado. Il regista tedesco, affiancato nel progetto dal figlio di Salgado, si muove su due piani narrativi: da un lato la vita del fotografo, vissuto tra America Latina e Francia, con una carriera iniziale come economista e l’incontro con la moglie Leila che lo introdurrà alla fotografia, dall’altro il suo percorso artistico che lo condurrà errante nei vari continenti. Salgado è fotografo che ha raccontato in maniera poetica e dura le periferie del mondo, le atrocità della guerra (Iraq, Ruanda, Balcani) e la povertà delle popolazioni, cogliendo gli sguardi dei bambini. Salgado rievoca anche la crisi personale-artistica dinanzi a numerose tragedie, sino a trovare un cammino di riscatto e riconciliazione con la sua ultima opera Genesi, dedicata all’ambiente e al Creato, nonché al grande progetto “Instituto Terra” che lo ha portato a piantare 2 milioni di alberi in Brasile.
Wenders offre una preziosa occasione per cogliere la dimensione artistica di un fotografo dall’impegno sociale e umanitario, trovando una modalità narrativa adatta a far emergere la ricchezza della storia personale e al tempo stesso la complessità dell’espressione fotografica. Un racconto che parte dal realismo, senza sconti dinanzi a tragici eventi, per approdare a un’appassionata testimonianza in difesa della vita e della natura. «Più che un film da godersi sullo schermo, Il sale della terra è infatti una grande esperienza emotiva, una testimonianza di amore e bellezza destinata a lasciare un segno profondo nel cuore dello spettatore. Merito naturalmente delle straordinarie immagini di Salgado, ma anche di chi ha saputo sceglierle, mostrarle attraverso il proprio sguardo, raccontandole a sua volta, contestualizzandole con l’aiuto di piccole e toccanti interviste al suo autore che nel rivedere quegli scatti sembra rivivere tutto l’orrore di un’umanità ferita, spesso agonizzante, eppure bellissima (…). Il documentario però non racconta solo lo straordinario talento di un fotografo molto speciale, ma anche (…) la sua storia d’amore, lunga ormai cinquant’anni, con la moglie Leila. È stato grazie a lei che Salgado, destinato alla professione di economista, si è ritrovato tra le mani la sua prima macchina fotografica scoprendo così la propria missione. È con lei che ha costruito una famiglia, ha messo al mondo due figli, di cui uno affetto da sindrome di Down, e ha fondato l’agenzia Amazonas Images. Ed è ancora con lei che ha pazientemente ripristinato la foresta della fascia atlantica brasiliana piantando due milioni di alberi e trasformando la sua grande fattoria di famiglia, devastata dalla deforestazione, in un parco naturale creando IstitutoTerra, progetto ambientale al quale sono destinati gran parte dei suoi guadagni» (A. De Luca, «Avvenire», 17 ottobre 2014).
PER APPROFONDIRE
Commissione Nazionale Valutazione Film CEI – Cnvf.it: «Di volta in volta i grandi progetti realizzati da Salgado hanno trovato un punto di incontro in raccolte editoriali diventate famose: da Other Americans (sulle terre sudamericane) a Sahel, The End of the Road, da Workers a Exodus fino a quella più recente, Genesis. In quest’ultima in particolare è esemplificato un punto d’arrivo importante. Dopo infiniti percorsi nel mondo, Salgado decide di dedicarsi alla tenuta di famiglia in Brasile per curarne il rimboschimento e farla rinascere: quella tenuta è ora un parco nazionale. Di fronte alla Natura che muore e rinasce in un ciclo continuato, Salgado riflette sulla propria età ormai avanzata e sulla linea unica che lega vita e morte. L’armoniosa visione di alberi e piante compensa ora tutte le sofferenze viste e vissute in guerre, migrazioni, carestie. Salgado attraverso i decenni ha documentato tutto con uno sguardo lucido e severo, poetico senza retorica né banalità. Wenders, anch’egli affascinato dalla fotografia, si è assegnato il ruolo di mettere insieme l’immagine fissa e quella in movimento. Compito non facile, a dire il vero. Certe volte sembra che gli scatti di Salgado siano più dinamici della capacità di Wenders di mostrarli allo spettatore. Resta il fascino del fotografo, la sua infinita creatività come storico e testimone. Wenders, da parte sua, sembra in difficoltà di fronte a quel diluvio di umanità nervosa, umiliata, disperatamente bella».
Rivista del Cinematografo – Cinematografo.it: «Fotografare. Scrivere con la luce. Ritrarre. In pochi lo hanno saputo fare, lo sanno fare, come Sebastião Salgado, tra i più grandi fotografi contemporanei, raccontato ora da Wim Wenders (…) nello splendido documentario The Salt of the Earth (…). Seguendo il fotografo nei suoi ultimi viaggi, e ascoltando dalla sua voce la storia dei suoi scatti più importanti, il regista tedesco Palma d’Oro nel 1984 con Paris, Texas dà vita ad una creazione che alimenta il cinema con il suo nutrimento primario: l’immagine. Che attraverso l’occhio di Salgado ha saputo raccontare i continenti sulle tracce di un’umanità in pieno cambiamento. Il sale della Terra sono gli uomini, seguiti dal fotografo in quarant’anni di carriera: alcuni tra i fatti più sconvolgenti della nostra storia contemporanea, conflitti internazionali, carestie, migrazioni di massa, sono stati immortalati nel bianco e nero inconfondibile, di rara potenza, del fotografo brasiliano. (…) Il genocidio in Rwanda, quello più recente dei Balcani, Salgado ha più volte rischiato di “catturare” questioni che hanno rischiato di allontanarlo definitivamente dal suo soggetto principale, l’uomo. Con il quale lo stesso fotografo ha finito per non riconoscersi più. Solamente più tardi, realizzando il monumentale Genesis, l’incontro ravvicinato con la fauna e la flora selvagge, omaggio unico e irripetibile alla bellezza del pianeta (…) Salgado – secondo lo stesso Wenders – ha avuto una sorta di risarcimento dopo tutta la disperazione di cui è stato testimone: “Non ha soltanto consacrato Genesis alla natura, dice il regista, ma è proprio la natura ad avergli permesso di non perdere la sua fede nell’uomo”» (V. Sammarco, Il sale della terra. Il capolavoro di Wenders per “ritrarre con la luce” i capolavori di Sebastião Salgado. Da Cannes a Roma, imperdibile, in Cinematografo.it, 10 dicembre 2013).
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