VENEZIA 70- Leone d’oro a “Sacro Gra”, d’argento a “Miss Violence”: difficile lettura della realtà

lunedì 9 Settembre 2013
Un articolo di: Redazione

I nomi della Giuria di Venezia 70 conviene ricordarli : Bernardo Bertolucci, Presidente, Andrea Arnold, Renato Berta, Carrie Fisher, Martina Gedeck, Jiang Wen, Pablo Larrain, Virginie Ledoyen, Ruychi Sakamoto, componenti. Un gruppo di attori, registi e tecnici del cinema, di fronte ai quali la figura di Bertolucci si è probabilmente imposta per autorevolezza, prestigio internazionale, carisma culturale. 20 film in gara nella sezione principale. Alla fine il verdetto: Leone d’oro per il miglior film a “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi (Italia/Francia); Leone d’Argento per la migliore regia a “Miss Violence” di Alexandros Avranas (Grecia); Gran Premio della Giuria a “Jiaoyou” (Stray dogs) di Tsai Ming liang (Taipei cinese/Francia); Coppa volpi per la migliore interpretazione maschile a Themis Panou nel film “Miss Violence” (Grecia): Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Elena Cotta nel film “Via Castellana Bandiera” di Emma Dante (Italia/Svizzera/Francia). Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente a:  Tye Sheridan nel film “Joe” di David Gordon Green (Usa); Premio per la migliore sceneggiatura a: Steve Coogan e Jeff Pope per il film “Philomena” di Stephen Frears (Regno Unito); Premio Speciale della Giuria a: “La moglie del poliziotto” di Philippe Groning (Germania).

  A cose fatte, questa edizione resta nella storia della Mostra di Venezia per la prima vittoria come Leone d’Oro non  di un film di fiction ma di un documentario. Una prima volta, conseguenza di un atteggiamento da qualche tempo più volte reiterato tra critica e addetti ai lavori, che vede ormai superata la barriera tra le due forme espressive, all’insegna del “tutto è cinema”. La presenza poi tra i premi principali del film greco, di quello di Taipei, di quello tedesco segnala in modo dirompente l’irruzione di forme espressive che spaccano il racconto per come finora lo si  è inteso, e si affidano ad uno sguardo che instaura con il tempo, la memoria, la vita un rapporto sofferto, allucinato, doloroso.  Se la società di oggi è attraversata da gravi problemi,  non può essere questa la giustificazione per una presupposta libertà espressiva che livella tutto sul versante di pedofilia, necrofilia, violenza domestica, e su questa constatazione costruisce una estetica quasi aberrante. La dissoluzione programmatica della famiglia è il tratto centrale di questo approccio. La conclusione è che la forma (ricercata, sfrontata, anche innovativa) diventa dominante. E i temi  ne restano prigionieri, chiusi nella gabbia di un sintassi espressiva rivolta soltanto a rimirare la propria perfezione. Bisognerà tornare sui singoli film, quando usciranno nelle sale. Avvertendo lo spettatore di prepararsi ad autentiche maratone visive, a situazioni scioccanti che chiederanno una partecipazione difficile. E forse anche qualche rifiuto.


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