In uscita “Past Lives” di Celine Song e “Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo
venerdì 9 Febbraio 2024
Un articolo di:
Sergio Perugini
Sfumature di sentimento e traiettorie di vita. Sono i punti di tangenza di due film in sala dal 14 febbraio. Il primo è “Past Lives”, esordio della regista sudcoreana Celine Song. Il racconto intimo, poetico, di un’amicizia nata nella stagione dell’infanzia che prova a sconfinare nei territori dell’amore. Un film dolce, malinconico, raffinato, che brilla per uno stile narrativo arioso e introspettivo, per le ottime musiche di Christopher Bear e Daniel Rossen, ma soprattutto per gli interpreti Greta Lee, Teo Yoo e John Magaro. “Past Lives” è candidato a due Premi Oscar. Da Venezia80 arriva nei cinema “Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo: con suggestioni tra Fellini e Visconti, l’autore racconta il cammino di formazione di una ragazza che incontra la magia del cinema e le insidie di un mondo effimero. Sullo sfondo l’epoca d’oro di Cinecittà, della Hollywood sul Tevere, ma anche la tragedia di Wilma Montesi, che Costanzo accosta alla perdita d’innocenza del Paese. Nel cast Lily James, Joe Keery, Willem Dafoe, Alba Rohrwacher e l’esordiente Rebecca Antonaci. Il punto Cnvf-Sir.
“Past Lives” (Cinema, 14.02)
Saper raccontare sullo schermo la dimensione del sentimento non è facile, soprattutto con uno sguardo credibile e approfondito. La regista sudcoreana Celine Song ci è riuscita già al debutto dietro alla macchina da presa. Ha scritto e diretto un piccolo gioiello, “Past Lives”, film targato A24 che si è fatto notare nel cartellone del Sundance Film Festival e poi alla 18a Festa del Cinema di Roma; ha trovato forte risonanza all’inizio di quest’anno con 5 candidature ai Golden Globe e 2 ai 96mi Premi Oscar. “Past Lives” è una storia minuta, intima, raccontata in maniera elegante e poetica: sembra quasi una polaroid, l’istantanea di un’amicizia d’infanzia che nel corso del tempo si trasforma e prova a trovare la direzione dell’amore. Un legame speciale che si rincorre e rinnova lungo due continenti, per decenni. La storia. Seul, Nora e Hae Sung sono due preadolescenti compagni di scuola; passano molto tempo insieme e il loro legame cela un sentimento intenso, sfumato tra l’amicizia e qualcosa di più. Nora si trasferisce poi con la sua famiglia in America e il loro legame si disperde. Dodici anni dopo i due si cercano online, su Facebook: lei studia scrittura a New York, lui sta completando i suoi studi universitari. Ritrovarsi a distanza, dopo così tanto tempo, li riconduce esattamente al crocevia emotivo dove si erano lasciati…
“Parla, a un livello molto semplice, di cosa vuol dire esistere come persona. O di com’è scegliere la vita da vivere”. Così la regista Celine Song nel descrivere il suo film, che si intreccia anche con il suo vissuto, l’appartenere a due Paesi diversi, due culture e lingue differenti. Scegliere una vita significa perderne un’altra, aggiunge: “Penso che ci sia un pezzo di te stesso che abbandoni dietro di te nel posto che hai lasciato”.
Con grande controllo e poesia visiva, Celine Song ci regala una storia di esistenze, radici e sentimenti che si snoda in maniera dolce e dolente. Seguiamo le traiettorie di Nora e Hae Sung lungo tre grandi blocchi temporali. Le loro vite procedono spedite, rincorrendo sogni e ambizioni professionali, ma il loro cuore sembra riportarli sempre allo stesso punto, a quella promessa sussurrata nelle stanze dell’infanzia. Starsi accanto. Il loro è un amore non espresso, custodito nel cassetto della memoria, che non appassisce mai. A Nora e Hae Sung manca però il coraggio del grande salto, di mettere quel loro sentimento prima di tutto.
Accanto a questo si aggiunge l’amore adulto, maturo, fatto di pazienza, presenza, accoglienza. Un amore che cresce e si fortifica nella quotidianità: è l’incontro di Nora con il collega scrittore Arthur, che l’aiuta a mettere nuove radici, a trovare casa. Arthur le fa conoscere cosa significhi un legame stabile, rassicurante; lui la sa amare con attenzione e premura. Le regala un ancoraggio nella terra a “stelle e strisce”, un sogno di felicità.
Magnifico è il modo in cui Celine Song scrive e dirige “Past Lives”, opera che trova ulteriore intensità e luminosità grazie ai tre interpreti Greta Lee, Teo Yoo e John Magaro, tutti di grande fascino e abilità nel saper dar voce e sostanza ai sentimenti e tormenti in campo, sottopelle. Infine, oltre alla qualità della regia, sono da richiamare anche le musiche puntuali di Christopher Bear e Daniel Rossen, che riescono a mettere sul pentagramma le differenti tonalità del sentire, le complesse emozioni in gioco. Consigliabile, poetico, per dibattiti.
“Finalmente l’alba” (Cinema, 14.02)
Saverio Costanzo torna al cinema dopo la riuscita esperienza Tv de “L’amica geniale” (2018-20). A vent’anni dal folgorante successo di “Private” (2004, Pardo d’oro a Locarno) e a dieci da “Hungry Hearts” (2014), l’autore firma “Finalmente l’alba”, passato in Concorso a Venezia80, una produzione Wildside, Fremantle e Rai Cinema. La storia. Roma, anni ’50. La giovane Mimosa (Rebecca Antonaci) si sta per sposare, ma la vita che le hanno organizzato i genitori le risulta stretta. Quando la sorella Iris viene convocata per un’audizione a Cinecittà, Mimosa coglie l’opportunità per guardare da vicino il mondo che ha sempre amato. Lì è in lavorazione un kolossal sull’antico Egitto con le star Josephine Esperanto (Lily James) e Sean Lockwood (Joe Keery). E proprio la diva internazionale nota Mimosa, scegliendola come comparsa. La giovane poi partecipa alle feste della notte romana, sempre al seguito di Josephine, Sean e del collezionista d’arte Rufo Priori (Willem Dafoe). Un’avventura sin alle luci dell’alba, tra sfarzo e brucianti amarezze…
I riferimenti del film di Costanzo sono il cinema di Luchino Visconti, “Bellissima” (1951), e di Federico Fellini, “La dolce vita” (1960). Partendo dall’idea di raccontare un fatto di cronaca, il delitto di Wilma Montesi, giovane aspirante attrice trovata morta in spiaggia a Roma nel 1953, Costanzo desidera sottolineare la perdita di innocenza del nostro Paese. Il film, in verità, segue la direzione del cammino di formazione di una giovane donna, che in poco meno di 24 ore passa dal desiderio di evasione, dal futuro già preconfezionato, al duro faccia a faccia con il mondo adulto, disseminato di opportunità, sorprese ma anche deragliamenti. Mimosa si abbandona alle seduzioni del cinema, scoprendo a sue spese il confine tra finzione e reale, tra sogno e tragedia.
Costanzo è abile nel mettere a confronto due quadri-mondi femminili. Il primo è quello della diva hollywoodiana Josephine Esperanto, abitata dal dissidio tra immagine pubblica e privata, richiamando Rita Hayworth schiacciata dal suo celebre ruolo Gilda. Josephine fa di tutto per essere al centro dell’attenzione, per diventare l’oggetto del desiderio maschile, collettivo, lasciando in secondo piano se stessa, la sua verità: splendida è la sequenza in hotel, all’alba, quando si toglie gli orpelli, trucco e parrucco, mostrandosi “nuda”, autentica, esausta e rassegnata a una vita di finzione. L’altra figura, Mimosa, è il vero oggetto del desiderio della comunità di artisti nottambuli, che ha occhi per la giovane per la sua carica di onestà ed emozioni ruggenti, lei che le possiede ancora a differenza loro. “Mi piace pensare – indica il regista – che sia un film sul riscatto dei semplici, degli ingenui, di chi è ancora capace di guardare il mondo con stupore”.
Costanzo governa con efficacia la macchina narrativa, alternando omaggi alla Hollywood sul Tevere e al contempo sguardi ravvicinati sulle fragilità umane, tra finzioni, apparenze e timori. Il suo è un viaggio nell’abbagliante mondo dello spettacolo, ma anche nei tornanti bui di un’umanità borghese che si è lasciata corrompere, come denunciato da Fellini e Pasolini. L’autore ancora una volta rivela un chiaro talento e uno stile visivo personale. Al di là di qualche passaggio meno riuscito (si veda la soluzione della tigre), per il resto “Finalmente l’alba” è un film che funziona e convince. Consigliabile, problematico, per dibattiti.