Orig.: Iran (2016) - Sogg. e scenegg.: Mani Haghighi - Fotogr.(Panoramica/a colori): Hooman Behmanesh - Mus.: Christophe Rezai - Montagg.: Hayedeh Safiyari - Dur.: 108' - Produz.: Mani Haghighi per Dark Precursor Productions - 66° FESTIVAL DI BERLINO, IN CONCORSO.
Interpreti e ruoli
Amir Jadidi (detective Babak Hafizi), Homayoun Ghanizadeh (Behnam Shokouhi), Ehsan Goudarzi (geologo), Kiana Tajammol (Keyvan Haddad), Nader Fallah (ingegnere del suono), Ali Bagheri (Shahrzad Besharat giovane), Kamran Safamanesh . (Almas), Ali Bagheri (Javad Charaki), Karman Safamanesh (Saeed Jahangiri)
Soggetto
Una Chevrolet impala di colore arancione corre per raggiungere una vecchia nave abbandonata in mezzo ad un paesaggio desertico. Il 22 gennaio 1965 : il giorno precedente, il Primo Ministro iraniano è stato ucciso davanti al Palazzo del Parlamento. Dentro, all'interno del relitto, un prigioniero politico esiliato si è impiccato. L'ispettore di polizia Babak Hafizi indaga su questo caso misterioso, cominciando dall'antica isola di Qeshm nel Golfo Persico. Mezzo secolo dopo, le testimonianze raccolte dai servizi segreti in quella occasione si trovano chiuse in una scatola. Dovrebbe essere la prova che il detective e i suoi collaboratori sono stati arrestati. Ma da chi e perché? Ed è possibile fare un film su questi remoti avvenimenti?
Valutazione Pastorale
Si dice che all'origine ci sia un storia vera, accaduta ad un tecnico durante le riprese di un documentario. Se così fosse (ma anche qui dubitarne è lecito e doveroso), si dovrebbe dire che il copione è il risultato di uno stravolgimento fortissimo tra la storia 'vera' e la sua narrazione 'inventata', tra la 'logica' dei fatti e il suo rovesciamento razionale. Il dato più rilevante di questo film, eccessivo e sovrabbondante, è infatti la presenza di un materiale eterogeneo e disarticolato, non semplice da dipanare. Detto questo, quello che sembra un limite, si trasforma a poco a poco in un pregio, e una ricchezza. Qui Haghighi confeziona un regia così diversificata e sfaccettata da far dimenticare che siamo dentro un film iraniano. A ricordarcelo arriva il cospicuo elenco di simboli e metafore di cui la storia è costellata. Ma arriva soprattutto (ed è il dato forte) il robusto intrecciarsi dei 'tempi' e dei 'generi': il confondersi di passato e presente e il cambio tra thriller, documento, fantasia. Ne deriva una (dis)continuità di racconto che richiede l'attenzione di un film d'autore ma insieme fa intravedere una libertà espressiva, uno svincolo dalle gabbie finora obbligatorie del cinema iraniano che fa ben sperare per il futuro. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e certo per dibattiti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, certo per un pubblico preparato ad affrontare una storia di non facile fruizione ma di suggestiva intensità .