Orig.: Stati Uniti (2014) - Sogg.: tratto dal libro "Still Alice" di Lisa Genova - Scenegg.: Richard Glatzer e Wash Westmoreland - Fotogr.(Panoramica/a colori): Denis Lenoir - Mus.: Ilan Eshkeri - Montagg.: Nicolas Chaudeurge - Dur.: 99' - Produz.: Lex Lutzus, James Brown, Pamela Koffler - FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA 2014, SEZIONE GALA.
Interpreti e ruoli
Julianne Moore (Alice Howland), Kristen Stewart (Lydia Howland), Alec Baldwin (John Howland), Kate Bosworth (Anna), Hunter Parrish (Tom Howland)
Soggetto
Felicemente sposata e madre di tre figli (due femmine e un maschio, tutti grandi), Alice Howland è una rinomata docente di linguistica. Un giorno, durante una lezione universitaria, accusa qualche passaggio di vuoto e di dimenticanza, ai quali sul momento dà poca importanza. Sono invece i primi sinomi dell'Alzheimer, che si manifesta in forma precoce ma è destinato ad aumentare. Da quel momento per Alice comincia una esistenza del tutto nuova. Per lei e per la sua famiglia. Lavoro, rapporti, sentimenti: tutto va filtrato dentro la nuova realtà. Si apre uno scenario, dentro il quale Alice è chiamata a gestire se stessa e a vivere la 'malattia' senza subirla...
Valutazione Pastorale
Wash Westmoreland riferisce che nel dicembre 2011 lui e Richard rievettero una telefonata in cui due produttori li invitavano a dare un'occhiata al romanzo "Still Alice" scritto da Lisa Genova. Il tema (una forma precoce di Alzheimer) spaventava non poco, ma all'inizio di quell'anno Richard, dal neurologo che lo aveva visitato in seguito ad alcune difficoltà nel parlare, si era sentito dire: Credo sia SLA. Da quel momento l'approccio con il libro è stato più forte e intenso, sfociando nella conseguente sceneggiatura e nella presenza di Julianne Moore nel ruolo della protagonista. Il rapporto tra cinema e malattia è, come si sa, complicato e contraddittorio. Si può affidare ad un attore il compito di infondere verità ad una finzione; oppure si può prendere qualcuno veramente malato e farlo 'recitare'. In entrambi i casi si rischia l'artificioso, il patetico, il convenzionale. Oppure arriva la prestazione d'alta scuola. Bisogna dire che nel ruolo di Alice Julianne Moore restituisce il dramma con asciuttezza e semplicità esemplari. Nessuna retorica, né sbavatura nè pietismi. Il copione compone una cornice dentro la quale ogni componente trova la giusta collocazione: la madre, il marito, i tre figli, la casa, la professione procedono insieme a rabbia, stupore, impreparazione, rassegnazione, reazione scomposta. In un coacervo di sentimenti, Alice sfiora l'idea di porre fine alla propria vita: gesto che viene scsvalcato di fronte all'immagine dei familiari. Il racconto ha una compattezza di immediata presa, senza urlare, strepitare, denunciare, facendo appello alla necessità di tenere alto il livello di dignità, umanità, capacità di credere nel valore comunque della vita. Un esempio di serietà narrativa che non fa appello a ricatti o a lacrimose richieste di coinvolgimento. Ne esce un film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni per avviare riflessioni sulla malattia, sui suoi riflessi nella vita individuale e della famiglia. E anche sul rapporto cinema/malattia. Da proporre con qualche attenzione per minori e piccoli, anche in vista di passaggi televisivi o di uso di dvd e di altri supporti tecnici.