Arriva direttamente in streaming su Netflix “22 luglio” (“22 July”) firmato dal regista britannico Paul Greengrass, dopo la presentazione alla 75a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Il film sbarca dal 10 ottobre sulla piattaforma online per abbonati, scavalcando il passaggio in sala e home video. La Commissione nazionale valutazione film Cei e il Sir hanno deciso di approfondire “22 Luglio” non tanto per gli aspetti legati alla fruizione spettatoriale, all’ampliamento delle modalità di consumo di cinema e audiovisivo disponibili oggi, bensì per il valore culturale dell’opera e le importanti implicazioni sociali. Il film ha ottenuto la menzione speciale del premio cattolico Signis a Venezia. Si legge nella motivazione: “Raccontando il massacro di tanti giovani in Norvegia nel 2011, [il film rappresenta] un monito per le giovani generazioni e per la comunità tutta a non lasciarsi influenzare dalla paura dell’altro, da idee estreme e violente, ma a saper trovare la via del dialogo e dell’inclusione”.
Il massacro di giovani a Oslo rivive sullo schermo
Il 22 luglio del 2011 la Norvegia ha vissuto il suo momento più buio dalla fine della Seconda guerra mondiale. In un solo giorno, in due luoghi diversi della capitale Oslo, si sono tenuti due attentati per mano del terrorista norvegese Anders Breivik, che ha portato alla morte 77 persone, con oltre 200 feriti. La vicenda è stata raccontata nel libro “Uno di noi. La storia di Anders Breivik” scritto dalla giornalista Åsne Seierstad, cui il regista si è ispirato.
Il film si apre seguendo Breivik che predispone l’attentato allestendo il furgone carico di esplosivo, poi parcheggiato presso i palazzi governativi di Oslo. Nel frattempo, sull’isola di Utøya, poco distante dalla capitale, si radunano numerosi studenti per parlare di futuro e cambiamento in un evento promosso dal Partito Laburista Norvegese.
Dopo le 15.00 del 22 luglio una potente bomba esplode nel cuore della città, attirando sul posto gran parte della polizia e delle squadre speciali; questo lascia il tempo a Breivik, vestito come un poliziotto, di raggiungere invece Utøya e assaltare gli studenti già allarmati dall’eco dell’attentato in città.
Il film non è però solo una lucida e serrata ricostruzione dei terribili accadimenti. Greengrass decide di indagare il dopo, cosa succede ai sopravvissuti, alle famiglie delle vittime, alla società norvegese tutta. Ecco così la macchina da presa seguire più storie: i feriti, attraverso il calvario del giovane Viljar (il bravissimo esordiente Jonas Strand Gravli), il difficile compito del primo ministro Jens Stoltenberg, chiamato a dare risposte alla comunità, l’avvocato Lippestad, che accetta con scrupolo la difesa dell’attentatore nel processo, e lo stesso Breivik (efficace il lavoro del talentuoso Anders Danielsen), che con inquietante fermezza dà conto delle sue motivazioni.
L’approccio narrativo
Greengrass è un affermato regista e sceneggiatore inglese, che negli anni si è fatto conoscere per un cinema di impegno civile e dallo sguardo indagatore; tra le sue opere si ricordano “Bloody Sunday” (2002), “United 93” (2006) e “Captain Phillips” (2013). Lavorando su una materia incandescente come i fatti di Olso, l’autore individua una soluzione narrativa incisiva e misurata, declinando in maniera asciutta le dinamiche dell’attentato, senza smorzarne drammaticità o ferocia. È un’istantanea diretta, secca. Dopodiché affonda lo sguardo nella psicologia dei testimoni, scandagliandone le pieghe della mente e dell’animo, per tratteggiare così un quadro sociale smarrito e bisognoso di risposte.
Colpisce in particolare il racconto del giovane Viljar, ragazzo mutilato e costretto a vivere con delle schegge di proiettile in testa, presagio costante di morte.
La sua e quella della sua famiglia è una discesa negli inferi, nella notte buia del Paese, ma anche un lento percorso di risalita verso la vita, il domani. Viljar capisce che per convivere con l’orrore deve guardarlo in faccia. Si mette così in gioco per raccontarlo, per elaborarlo personalmente e socialmente. Accetta infatti di testimoniare al processo, per affermare il bisogno di non cedere alla paura, alle idee tossiche, razziste, divulgate da Breivik.
Il guadagno del film, tra denuncia e speranza
Il film di Greengrass offre una potente riflessione sul pericolo di derive estremiste e autoritarie nel nostro tempo, nell’Europa di oggi, segnata dalla paura dell’altro. Raccontando il caso di Breivik, è come se Greengrass ci volesse mettere in guarda dallo scivolare verso idee (o ancor di più azioni) estreme, rilanciando al contrario la centralità del dialogo e dell’integrazione. “Affrontando a viso aperto i fatti – sottolinea Massimo Giraldi, presidente della Commissione nazionale valutazione film Cei –, Greengrass compone un racconto asciutto, aspro e serrato, capace però di non fermarsi alla semplice cronaca, ma di allargare il campo ad aspetti centrali della società contemporanea. Il regista realizza un film compatto e solido, portatore di un messaggio di denuncia e speranza per le giovani generazioni”. Dal punto di vista pastorale, “22 luglio” è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti (il film presenta un divieto per i minori di 14 anni).
Articolo originale pubblicato su Agenzia Sir
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