Siamo quasi alle battute conclusive del 72° Festival di Cannes, con l’assegnazione della Palma d’oro sabato 25 maggio. I primi titoli forti sono in uscita in sala in questo fine-settimana insieme alle immancabili proposte dell’industria hollywoodiana. Ecco la selezione nella consueta rubrica di cinema del Sir e della Commissione nazionale valutazione film Cei: il live-action Disney “Aladdin” firmato Guy Ritchie che riprende il cartoon del 1992, da Cannes72 “Il traditore” di Marco Bellocchio, film tra inchiesta e cronaca sulla controversa figura di Tommaso Buscetta, e “Dolor y gloria” dello spagnolo Pedro Almodóvar, racconto in prima persona tra sguardi problematici e poetici.
“Aladdin”
Nella raccolta mediorientale “Le mille e una notte” figura la novella “Aladino e la lampada meravigliosa”, che nel corso del tempo ha appassionato tantissimi lettori di diversi bacini culturali. In particolare, negli anni ’90 ha trovato una grandissima popolarità grazie al cartone animato della Disney “Aladdin”, che ha avuto una forte presa sul pubblico anche per le canzoni originali di Alan Menken e Tim Rice, portando a casa due premi Oscar. Ora dal 22 maggio la Disney ripropone la fortunata favola in una nuova chiave: “Aladdin” è infatti un live-action, abbandonando il disegno animato a favore di scene realistiche con attori veri ma sempre cariche di effetti speciali. A dirigere il film è il regista inglese Guy Ritchie (“Sherlock Holmes”) e tra i protagonisti c’è il veterano Will Smith – è l’esilarante Genio della Lampada – insieme ai due giovani semi-esordienti Mena Massoud e Naomi Scott. La storia è quella del ladro dai modi gentili Aladdin con la sua scimmietta Abu, ammaliato dalla bella principessa Jasmine e pronto a battersi in difesa del vecchio Sultano dinanzi alla brama di potere del perfido Jafar. Tema centrale è il confronto-scontro tra Bene e Male, palesemente portato in primo lungo il racconto. Opera dalla forte carica adrenalinica, dai suggestivi effetti speciali, ma con qualche incertezza nella sceneggiatura. Ritchie si conferma un regista un po’ eccessivo e fracassone. Dal punto di vista pastorale “Aladdin” è da valutare come consigliabile e nell’insieme semplice.
“Il traditore”
È l’unico film italiano al 72° Festival di Cannes, “Il traditore” di Marco Bellocchio, che passa in concorso il 23 maggio, data anche dell’uscita nelle sale. E non è una data facile, perché ricorre l’anniversario di una pagina triste del nostro Paese, la strage di Capaci nel 1992 dove persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e la scorta. “Il traditore” interseca quei dolorosi fatti perché affronta con il tratto dell’inchiesta la figura controversa di Tommaso Buscetta, esponente di spicco della mafia siciliana, che negli anni ’80 inizia a collaborare con la magistratura, con lo stesso Falcone, in una delle stagioni più difficili e aspre dello scontro tra Stato e mafia. Protagonista è Pierfrancesco Favino, incisivo e convincente, insieme ai bravi Fabrizio Ferracane e Luigi Lo Cascio. Film senza dubbio complesso e problematico per i temi affrontati, che porta la firma di un autore importante del cinema nazionale, Marco Bellocchio, classe 1939, che ha diretto oltre venticinque film dagli anni ’60 a oggi, tra cui “I pugni in tasca”, “La Cina è vicina”, “Buongiorno, notte”, “Vincere” e “Fai bei sogni”.
“Dolor y gloria”
Ventuno sono i titoli della filmografia del regista spagnolo Pedro Almodóvar, che dal 1978 a oggi ha offerto un campionario di opere brillanti, colorate ma anche fortemente problematiche. Tra i più riusciti “Tutto su mia madre” (1999), “Parla con lei” (2002) e “Volver” (2006). Ora a Cannes72 ha presentato “Dolor y gloria”, racconto in prima persona, un vero e proprio diario di vita dove il cinema occupa un tassello importante così come il rapporto con la madre. Cinema nel cinema, secondo un espediente che rimanda all’“8½” felliniano. Almodóvar firma una storia che è una confessione a cuore aperto: senza nascondere niente di se stesso, il regista traduce in immagini il percorso di sofferenze di un uomo di cinema in forte crisi creativa. Un cammino sorretto dal desiderio di ritrovare se stesso e il perdono da parte della madre (in forma onirica, in quanto morta anni prima). Protagonisti sono l’attore alter ego Antonio Banderas, che offre una performance efficace e riuscita, e la sempre brava Penélope Cruz nel ruolo della mamma. “Dolor y gloria” alterna passaggi inquieti ad altri più banali, ma la profondità della riflessione convince. Tutto confluisce in un finale stilisticamente da grande cinema. Dal punto di vista pastorale, l’opera è complessa, problematica e per dibattiti.
Articolo originale pubblicato su Agenzia SIR
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