“La verità (…) si rivela nella comunione. La menzogna invece è rifiuto egoistico di riconoscere la propria appartenenza al corpo; è rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unica via per trovare se stessi”. Le parole di papa Francesco, tratte dal Messaggio per la 53a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, trovano risonanza nel film “Il vizio della speranza” (2018) di Edoardo De Angelis, opera che esplora con durezza le periferie abbandonate, dove non c’è traccia di Stato né di figure educative, dove tutto è costruito sullo sfruttamento e la menzogna. Lì dove sembra non poter crescere nulla attecchisce invece il seme della speranza, la possibilità di invertire la rotta del degrado sociale. “Il vizio della speranza” è la diciassettesima proposta del ciclo di 18 film individuati dalla Commissione nazione valutazione film e dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI per approfondire i temi del Messaggio del Papa.
Maria e il coraggio del riscatto grazie alla maternità
Campania, lungo il letto del fiume Volturno, si annidano aggregati di case dove vivono in maniera precaria immigrati, prostitute e sfruttatori. In un ambiente sempre grigio, bagnato dalla continua pioggia, dove a fatica si vede un raggio di sole, conosciamo Maria (Pina Turco), trentenne che vive alla giornata alle dipendenze dalla cinica malavitosa Zi’ Marì (Maria Confalone, David di Donatello 2019). Maria non si ribella, bensì esegue anche gli ordini più scomodi, come la gestione di un giro di prostituzione e il mercato nero dei neonati. La sua vita è incolore; dentro di lei non c’è traccia di fiducia, non c’è sogno per il domani. È in trappola e l’unico modo per andare avanti è non opporsi alla logica del male. Quando però scopre di essere anche lei incinta, tutta cambia. Avverte la responsabilità della vita nascente, l’urgenza di scommettere su un futuro diverso, migliore. Sente di avere una speranza e per questa deve battersi contro il male, contro chi la vuole trascinare nel baratro.
Per cambiare passo c’è bisogno di comunità solidali
Presentato alla Festa del cinema di Roma nel 2018, “Il vizio della speranza” è l’ultimo film di Edoardo De Angelis, talentuoso autore napoletano classe 1978, che si è fatto conoscere come convincente e originale regista-sceneggiatore attraverso “Mozzarella Stories” (2011), “Perez.” (2014) e l’acclamato “Indivisibili” (2016). Con “Il vizio della speranza”, De Angelis torna a esplorare le periferie umane abbandonate, in preda all’isolamento e all’impoverimento sociale e spirituale, dove però è ancora viva però la voglia di reagire, di aggrapparsi all’idea di un cambiamento.
Il regista De Angelis torna dunque in una terra martoriata, la sua terra d’origine, restituendo allo spettatore tutte le drammatiche sfumature del paesaggio. All’inizio compone un quadro duro, tossico, quasi soffocante: l’esistenza di Maria e dei suoi conterranei non è vita. È un incedere senza sentimenti né futuro. De Angelis dipinge l’orizzonte con colori freddi, tetri, con uno sguardo graffiante e annichilente.
Dopo il buio però c’è la luce. Maria, grazie alla sua gravidanza inattesa, miracolosa, si risveglia dal suo torpore, dal sonno della ragione, intraprendendo un cammino di riconciliazione e di riscatto. Nel corso della sua fuga dal male, riesce persino a salvare una giovane disabile destinata allo sfruttamento minorile. In più, “Il vizio della speranza” si carica di simboli e riferimenti tematici al Vangelo, al momento del concepimento e alla nascita di Gesù. Bellissima, anche se forse un po’ didascalica, la scena del parto di Maria, che assume raffigurazione pittorica della nascita di Cristo.
Sotto il profilo narrativo, nel film riscontriamo molti temi attuali: lo sfruttamento della donna, della maternità, la condizione dispersa delle periferie, dove non c’è traccia né di Stato né di futuro. In questa landa desolata, disumana, la speranza si fa largo grazie a una nascita, a una nuova vita. Un bambino che scioglie paure e resistenze, non solo di Maria ma di quanti nella comunità aspettano un segnale di rinnovamento. Un messaggio dal valore sociale, cristologico, forte e marcato.
Edoardo De Angelis rivela pertanto polso, capacità di graffiare ma anche poesia, mostrando uno stile maturo e incisivo. Forse qui inciampa in qualche sbavatura, volendo accompagnare un po’ troppo lo spettatore verso la sua tesi, ma comunque offre una narrazione lucida e compatta. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti, sia per i richiami sociali che religiosi.
Valutazione pastorale Cnvf
Napoletano, classe 1978, reduce dal successo di “Indivisibili” presentato nel 2016 alla Mostra di Venezia, De Angelis torna a frequentare una terra che ben conosce e che tuttavia ha ancora materia per parlarci e proporci forti interrogativi. Per Maria, al pari delle altre donne sfruttate, l’arrivo di un bambino sembra da prendere come un ennesimo problema. Dentro di lei sembrava non esserci posto per la speranza. Invece l’arrivo di una creatura la spinge a cambiare, a guardare il presente con occhi nuovi, a immaginare un futuro fatto di sogno e valori. Nel degradato inferno in cui si volge la vicenda il regista si muove con piglio forte e robusto, mettendo in luce il contrasto stridente e drammatico tra la realtà e il sogno. A poco a poco emergono molti temi: la sfruttamento della donna, la maternità, la disperata condizioni delle periferie. Sono argomenti che De Angelis non controlla sempre con misura, in qualche caso lasciandosi andare a qualche tono didascalico eccessivo, e tuttavia sempre tenendo alta la luce della poesia e della rinascita che illumina la mente e il cuore delle persone. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
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