Due thriller politici dal graffio ironico sono in concorso: lo statunitense “The Laundromat” di Steven Soderbergh, con una sempre camaleontica Meryl Streep, e il francese “Wasp Network” con gli intensi Penélope Cruz e Édgar Ramírez. Fuori concorso presentata in anteprima la serie Sky-HBO “The New Pope” di Paolo Sorrentino con Jude Law e John Malkovich.
“The Laundromat”
Per fortuna ha cambiato idea il regista Steven Soderbergh, nato ad Atlanta nel 1963. Qualche anno fa infatti aveva deciso di lasciare la regia – ha un lungo curriculum e tra i suoi titoli più noti si ricordano “Erin Brockovich”, “Traffic” e la trilogia “Ocean’s” – per seguire progetti sul piano ideativo-produttivo. Di recente però è tornato dietro alla macchina da presa in gran forma, soprattutto con il suo film a Venezia76. “The Laundromat” si ispira a una storia vera, quella dei “Panama Papers”; è un’inchiesta dalla forte carica satirica che ricostruisce la deflagrazione dello scandalo politico-finanziario tra tangenti e società offshore venuto alla luce tra 2015 e 2016. Protagonisti sono tre attori di peso di Hollywood: Meryl Streep, Gary Oldman e Antonio Banderas.
“Lo scandalo dei Panama Papers” – dichiara Massimo Giraldi, presidente della Cnvf e membro della giuria cattolica Signis al Festival– “ha messo in evidenza ancora una volta come denaro e potere fanno deragliare governanti e istituzioni. Soderbergh affronta questo argomento nella forma di una messa in scena teatrale dove si alternano dramma e ironia spumeggiante. In fondo non fa che riconfermare la sua marca autoriale, quel suo inconfondibile stile visivo; ciò dà la misura di quanto il regista sia capace di gestire con padronanza e genialità la macchina cinema”.
“Soderbergh ha un grande talento anche nella valorizzazione degli attori” – aggiunge Sergio Perugini, segretario della Cnvf e membro della giuria Signis – “Questa volta punta tutto su Meryl Streep, che mette in scena un’ampia gamma di sfumature: racconta una tipica pensionata americana dedita alla famiglia, che rimasta vedova per un incidente viene travolta dalla burocrazia assicurativa connessa ai Panama Papers. In lei vediamo accendersi costernazione, smarrimento, ma anche rabbia folle a tinte tragicomiche. Nel finale (che non sveleremo) l’attrice si mette poi a nudo come una pasionaria in difesa del cittadino inerme”.
Dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e adatto di certo per dibattiti.
“Wasp Network”
Il bravo regista francese Olivier Assayas, nato a Parigi nel 1955, è stato in concorso a Venezia nel 2018 con “Il gioco delle coppie”, commedia satirica su rapporti umani e cambiamenti indotti dall’uso di digital e social media. Sorprende dunque vederlo nuovamente in gara a distanza di un anno con un film totalmente altro, un thriller politico da una storia vera, che richiama la costante frizione tra Cuba e Stati Uniti. È la vicenda di René González (Édgar Ramírez), un pilota cubano che diserta e si rifugia a Miami, lasciando la moglie (Penélope Cruz) e la figlia sull’isola. Dietro questo fatto si nasconde però un intricato gioco di spionaggio messo in campo tanto dall’FBI quanto dai servizi cubani.
“L’argomento Guerra fredda Usa-Cuba ha dato origine a moltissimi film” – indica Giraldi – “In questa nuova pagina cinematografica Assayas sorprende per l’impegno produttivo e il rigore narrativo, senza rinunciare al suo consueto umorismo pungente. La storia è presentata con accuratezza e persino qualche lungaggine, ma il piglio critico del regista emerge con chiarezza. L’autore fa sentire la sua presenza con intuizioni stilistiche ricercate”.
“Assayas” – continua Perugini – “sceglie di raccontarci le tensioni internazionali tra Cuba e gli Stati Uniti adottando angolature originali e non scontate, cercando di mettere in evidenza colpe e ingerenze dei due Paesi. A funzionare bene sono gli attori, soprattutto Penélope Cruz, che offre una bella prova di interpretazione, aggiungendo pathos e densità di sentimenti a una narrazione forse troppo incalzante e dalle sterzate ironiche. Attraverso lo sguardo, l’espressività luminosa e dolente della Cruz, si coglie bene tutto l’orgoglio e l’affanno della vita del popolo cubano”.
Dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e utile per approfondimenti.
“The New Pope”
Torna il “Papa rock” di Paolo Sorrentino. Dopo la prima serie “The Young Pope” (2016), nata dalla cordata internazionale tra HBO, Sky e l’italiana Wildside, il regista napoletano (classe 1970), premio Oscar per “La grande bellezza”, gira una nuova stagione della serie Tv dal titolo “The New Pope”, a Venezia 76 in anteprima mondiale con due puntate, la 2a e la 7a. Mentre il rivoluzionario papa statunitense Lenny Belardo (Jude Law), Pio XIII, è ridotto in coma, i cardinali sono in cerca di un successore per la guida della Chiesa. A salire sul soglio di Pietro viene chiamato il britannico John Brannox (John Malkovich) con il nome di Giovanni Paolo III. Tutto si complica però quando Pio XIII si sveglia dal suo sonno al clamore del miracolo.
“Va detto che due sole puntate non sono sufficienti per esprimere una valutazione adeguata e puntuale sulla serie” – sottolinea così Sergio Perugini – “Da una prima impressione, possiamo confermare che la regia di Sorrentino è sempre visionaria, sontuosa nonché seducente. Ha uno stile riconoscibile, magnetico e insieme provocatorio: costruisce dei quadri visivi (con la bella fotografia di Luca Bigazzi) dal lirismo felliniano, curando la messa in scena in maniera maniacale. Complessa e di difficile decifrazione è la narrazione: il racconto tanto dei due pontefici quanto di cardinali o personale vaticano alterna passaggi poetici a scene sovraccariche, confuse e persino respingenti. Se la forma è elegante e avvolgente, degna di un grande autore, il contenuto della serie rischia di perdersi tra incertezza e ricerca (gratuita?) di provocazione”.
Articolo originale pubblicato su Agenzia SIR
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