Dopo l’abbuffata natalizia, si torna alla regolarità con le uscite in sala del giovedì. Tra i titoli in evidenza troviamo: “Hammamet” di Gianni Amelio, ritratto di Bettino Craxi con la potente interpretazione di Pierfrancesco Favino; la nuova versione di “Piccole donne” firmata da Greta Gerwig, stilosa e raffinata con un cast di giovani stelle; infine, il cinema di impegno civile firmato Ken Loach, “Sorry We Missed You”, racconto duro, drammatico, del lavoro senza più diritti. Il punto dell’Agenzia Sir e della Commissione nazionale valutazione film CEI.
“Hammamet”
La figura di Bettino Craxi è stata a lungo un grande rimosso dal dibattito pubblico in Italia. Gianni Amelio è uno dei primi registi a confrontarsi con la sua storia nel film “Hammamet”, scritto con Alberto Taraglio. A ben vedere, “Hammamet” non è propriamente un biopic su Craxi; come sottolinea infatti lo stesso Amelio nelle note di regia: “Lui è il motore del racconto, che comunque si concentra più sull’uomo che sul politico”. È vero, una biografia, per quanto approfondita e dettagliata, non avrebbe restituito la figura del leader milanese con la complessità e la profondità che meritava. Opportuna è risultata quindi la scelta di Amelio e del co-sceneggiatore di indirizzarsi su una narrazione lontana dalla cronaca politica e dal pamphlet militante. Ne deriva un racconto di palpitante incertezza, nel quale il protagonista si ritaglia un ruolo di uomo in preda a timori e scatti di ribellione, assalito ora da brividi di solitudine, ora da accenni di profonde riflessioni interiori. Qui Amelio recupera in pieno una regia corposa e sempre densa di emozioni, con uno sguardo che getta su persone e situazioni l’idea di una pacificazione a lungo cercata ma quasi impossibile. Il regista, poi, tratta con grande delicatezza affanni, scompensi, momenti di crisi, accenni di bellezza e poesia. Conta molto, nell’economia generale della drammaticità latente la presenza di Pierfrancesco Favino, che restituisce un Craxi di impeccabile, imbarazzante, bravura. Da rimarcare anche le interpretazioni di Giuseppe Cederna, Renato Carpentieri e Claudia Gerini. Una prova di grande smalto e di robusta impaginazione, che conferma Gianni Amelio tra i grandi nomi del cinema italiano. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
“Piccole donne”
Quando un classico della letteratura continua a parlare. È “Piccole donne” della scrittrice statunitense Louisa May Alcott, adnato alle stampe nel 1868 e trasposto più volte tra grande e piccolo schermo. Si ricordano in particolare la versione del 1933 di George Cukor, quella del 1949 di Mervyn LeRoy e nel 1994 quella firmata da Gillian Armstrong; in Italia è rimasto celebre lo sceneggiato Rai diretto nel 1955 da Anton Giulio Majano. All’inizio del 2020 arriva ora nelle sale italiane la versione di “Piccole donne” scritta e diretta dalla quasi quarantenne Greta Gerwig, autrice che con pochi titoli all’attivo – suo è il film rivelazione “Lady Bird” del 2018 – si è subito imposta con una precisa idea di cinema, brillante e raffinato. Le quattro sorelle March sono interpretate da un gruppo di giovani attrici in promettente ascesa: Saoirse Ronan è Jo, Emma Watson è Meg, Florence Pugh è Emy e Eliza Scanlen Beth; del cast fanno parte anche Laura Dern, Timothée Chalamet, Meryl Streep, Tracy Letts, Louis Garrel e Chris Cooper.
Rispetto a questa nuova versione di “Piccole donne” c’è da dire che la Gerwig è un’autrice che sa il fatto suo, capace di innovare raccontando una storia consolidata e proposta quasi in ogni angolatura a livello audiovisivo. Lei ha saputo trovare la propria via, con originalità e senza dubbio stile. La narrazione non è lineare, bensì un flusso di ricordi disordinati, che all’inizio può persino risultare asciutta, ripetitiva, confusa, ma in breve tempo trova colore, emozioni e poesia. Quello che incanta sono soprattutto scenografie di Jess Gonchor e i costumi di Jacqueline Durran; in generale, risulta raffinata la messa in scena tutta. Le musiche, inoltre, del premio Oscar Alexandre Desplat cuciono il racconto in maniera puntuale e preziosa, regalando grande atmosfera. Una giovane generazione di attori, infine, trascina il film con convinzione, a cominciare da Saoirse Ronan/Jo che punta direttamente un’altra nomination ai prossimi Oscar (già tre volte candidata per “Espiazione”, “Brooklyn” e “Lady Bird”). Dal punto di vista pastorale, il film è di certo consigliabile, poetico e adatto per dibattiti.
“Sorry We Missed You”
È uscito nelle sale italiane dal 2 gennaio. Parliamo di “Sorry We Missed You” del regista inglese Ken Loach, potente e impietoso sguardo sulla realtà lavorativa odierna che si ricollega magistralmente alla filmografia di grande impegno civile dell’autore ultraottantenne. Quando nel 2016 Loach ha vinto per la seconda volta la Palma d’oro al Festival di Cannes con “Io, Daniel Blake”, lacerante e commovente parabola degli ultimi, in molti hanno pensato a un film di congedo dallo schermo, a un film-testamento. Ecco invece Loach sorprenderci ancora una volta con il bellissimo, durissimo, “Sorry We Missed You”, con cui osserva la realtà sempre dal basso, dando voce a quanti vivono sul crinale della povertà. La storia: a New Castle vivono Ricky e Debbie, sposati da anni e con due figli. Debbie fa l’infermiera a domicilio e viene pagata in base ai pazienti che visita nella giornata lavorativa, spesso di oltre 12 ore; Ricky ha perso più volte il lavoro e si è reinventato fattorino nel commercio online (per far questo è costretto a procurarsi un furgone, indebitandosi gravosamente). Il film ci mostra una lotta di poveri e tra poveri, che arrancano disperatamente per uscire dal cono buio della crisi. Ricky e Debbie fanno sacrifici al limite delle proprie forze, stramazzando sul divano a fine giornata, storditi dalla fatica; e intanto i figli crescono, lontani dai loro occhi. Ma come addossargli colpa? Ancora una volta Ken Loach picchia duro, realizzando un film intenso e compatto, che aggancia lo spettatore grazie alla presa di forte realismo. Una narrazione dove la brutale realtà sottrae la scena alla poesia, lasciando nello spettatore una cocente riflessione e un cuore gonfio di emozioni. Dal punto di vista pastorale il film è da valutare come raccomandabile, problematico e adatto per dibattiti.
Articolo disponibile anche su Agenzia SIR
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