L’ultimo film di Clint Eastwood è il manifesto del ciclo di 15 film, delle 15 schede pastorali-educative proposte dalla Commissione nazionale valutazione film CEI per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali
“Richard Jewell” di Clint Eastwood inaugura il ciclo di 15 racconti di “eroi del quotidiano”, tra film e serie Tv, scelti dalla Commissione nazionale valutazione film della CEI come approfondimento sul tema del Messaggio di papa Francesco per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia. Il film, nelle sale cinematografiche italiane dal 16 gennaio 2020, incontra la riflessione del Papa quando richiama l’importanza di storie feconde, esemplari, che rischiarano di una luce di fiducia il nostro sguardo sul presente e sul domani. “Immergendoci nelle storie – indica papa Francesco – possiamo ritrovare motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita”. E la storia di Richard Jewell è una storia di resilienza e riscatto, una storia da (ri)scoprire e custodire.
Il coraggio di Richard
Una storia vera, quella di Richard Jewell, raccontata dal settimanale statunitense “Vanity Fair”, nell’articolo “American Nightmare. The Ballad of Richard Jewell” a firma di Marie Brenner. Stati Uniti 1996, ad Atalanta sono in pieno svolgimento i Giochi olimpici. La sera del 27 luglio al Centennial Olympic Park si sta tenendo un affollato concerto. Il trentenne Richard Jewell (Paul Walter Hauser, in una prova eccellente) lavora nel servizio di sicurezza del luogo ed è preoccupato che tutto si svolga correttamente; viene persino deriso dai suoi colleghi per l’eccesso di zelo e meticolosità nelle sue perlustrazioni. Improvvisamente Richard scopre uno zaino abbandonato sotto una panchina; preoccupato, allarma la polizia, invitando a una rapida evacuazione del parco. Dopo un momento di scetticismo iniziale, alla fine Richard la spunta e ottiene lo sgombero…
Purtroppo lo zaino contiene una bomba che esplode uccidendo una persona e ferendone oltre un centinaio; ma grazie all’intervento di Richard si è evitata la carneficina. In breve tempo quel ragazzone corpulento, dallo sguardo buono, finisce sotto i riflettori dei media che lo incoronano eroe nazionale. Le lusinghe, però, durano ben poco. Mossi dall’urgenza di individuare un colpevole, FBI e media dirottano la loro attenzione proprio su Richard, mettendolo sul banco degli imputati con l’accusa di essere l’attentatore. Richard si sente alle strette, impotente, quasi forzato a una dichiarazione di colpevolezza; al suo fianco rimangono solo la madre Bobi (Kathy Bates, nominata all’Oscar per il ruolo) e l’avvocato disilluso Watson Bryant (un sempre talentuoso Sam Rockwell). È l’inizio di una lunga battaglia legale in cerca di giustizia, di verità…
Dare voce agli indifesi
È una vibrante pagina di impegno civile quella che ci consegna il film “Richard Jewell”, il racconto di un uomo qualsiasi, un giovane che tra l’altro sogna una vita professionale nelle forze dell’ordine, che si trova al centro di un grande errore giudiziario non riconosciuto, ma anzi, urlato dai media. Richard Jewell rappresenta uno degli ultimi della società di oggi, quasi del tutto indifeso dinanzi alle intimidazioni di apparati dell’establishment poco attenti alle procedure, al rispetto del prossimo. Richard passa da eroe nazionale a nemico pubblico numero uno nel giro di poche ore, senza essere minimamente ascoltato o tutelato nei suoi diritti fondamentali. La storia di Richard Jewell è comune a quella di tanti innocenti schiacciati dalla burocrazia di una giustizia spesso disumanizzata oppure da un sistema mediatico viziato dall’eccesso di scoop, che conserva la deontologia professionale solo negli attestati.
Con “Richard Jewell” Clint Eastwood ci regala dunque un altro magistrale racconto sociale, uno sguardo sulla periferia americana animata da tenacia e da un universo valoriale solido, ben radicato; una storia territoriale che grazie alla bravura di Eastwood trova una forza narrativa universale. Richard Jewell è, infatti, l’ultima tessera di un mosaico di storie umane dal profilo esemplare: dal veterano dal cuore tenero Walt Kowalski in “Gran Torino” (2009) al lucido pilota Chesley Sullenberger in “Sully” (2016); ancora dal mito Nelson Mandela in “Invictus. L’invincibile” (2009) ai tre valorosi giovani americani in “Ore 15:17. Attacco al treno” (2018). A 90 anni Eastwood dà prova, quindi, di possedere ancora una potente vis poetico-narrativa, ben radicata nella realtà, nell’ascolto del respiro sociale. Una società di certo in affanno, ma ancora capace di giocarsi con la vita e di battersi per i valori fondamentali, a cominciare da giustizia, libertà e rispetto del prossimo.
“Richard Jewell” è un film duro, a tratti claustrofobico e persino collerico. Si accumula inizialmente tensione, a livello spettatoriale, dinanzi a un’ingiustizia inaccettabile: la messa in stato di accusa di un innocente, di più, di un onesto cittadino che ha solo fatto il suo dovere. Il regista trasforma poi questa energia oppositiva in un una tensione protesa alla verità, allo smascheramento delle falsità. Il racconto si fa così intenso, grintoso, quando quell’avvocato disamorato nei confronti della sua professione si schiera dalla parte di Richard, si adopera per tutelarlo; un racconto pieno anche di poesia, di commozione, che riverberano nello sguardo di una madre. Eastwood in questo è superlativo, perché riesce con eleganza a unire quasi sempre sguardo realistico a sfumature di sentimento. E seppure non tutto risulti perfetto, il film possiede un chiaro valore sociale ed educativo; dal punto di vista pastorale “Richard Jewell” è da considerare consigliabile, problematico e per dibattiti.
In evidenza, due momenti del film
Due i momenti chiave del film, che possono essere messi in evidenza in occasione di dibattito. Anzitutto la testimonianza della madre di Richard, Bobi, che in difesa del figlio sfida con resilienza e umanità il “plotone dei giornalisti” in una conferenza stampa; solo lei è rimasta accanto a Richard e più si fa assordante il rumore dei media, il caos comunicativo che scatenano, e più è tenace la forza della sua testimonianza, del suo amore. La famiglia lì, in quel frangente, è il ritratto ancora una volta dell’ancoraggio nella tempesta, centro e senso del vivere.
Ancora, le sequenze finali del film, dal confronto tra Richard e il suo avvocato con il team FBI in giudizio: è una resa dei conti sugli accadimenti, sulla verità dei fatti; Richard, che ha sempre sognato la divisa, di far parte delle forze dell’ordine, si rende conto dei deragliamenti nel Male cui l’umanità spesso incorre. E seppur ferito e amareggiato, Richard non arriva a smarrire la sua fiducia nell’uomo e nelle istituzioni in generale. Il suo sogno di una vita spesa in difesa del prossimo non muta, anzi si fortifica.
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