“Piccole donne” (2020) di Greta Gerwig scelto dalla Cnvf per la 54a Giornata delle comunicazioni
Operazione difficile quella di Greta Gerwig, rileggere il classico della letteratura “Piccole donne” di Louisa May Alcott, più volte portato sul grande schermo. Una rilettura rispettosa ma nel segno dell’innovazione. La Gerwig ci ha consegnato un altro sguardo, una nuova prospettiva sulle sorelle March, imprimendo una forte attualizzazione: raccontando giovani di ieri, così luminose, solidali e dallo sguardo vibrante sul futuro, ci ha mostrato anche giovani di oggi, accesi dal desiderio di mettersi in gioco con il domani e di viverlo nel segno della condivisione. Per tali motivi l’opera è stata scelta dalla Commissione nazionale valutazione film della CEI per riflettere sul Messaggio di papa Francesco per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
Le indimenticabili sorelle March
Non è mai troppo tardi per (ri)scoprire la storia della famiglia March, delle quattro sorelle Jo (Saoirse Ronan), Meg (Emma Watson), Beth (Eliza Scanlen) e Amy (Florence Pugh). Siamo a Concord, nel Massachusetts, nel 1861, la famiglia March conduce una vita semplice, senza agiatezze, ma luminosa e piena di allegria, nonostante la guerra. Le quattro sorelle si confrontano con il proprio domani, tra sogni e paure: c’è il desiderio di riuscire nel lavoro (Jo), di formare una famiglia (Meg), di migliorare la propria condizione sociale (Amy) ma anche di preservare la poesia del presente, quel legame familiare così speciale (Beth).
Ragazze affacciate alla vita
Un’ottima accoglienza per la nuova versione di “Piccole donne” (“Little Women”, 2020) diretta da Greta Gerwing e salutata con ben sei nomination ai 92 Oscar (tra cui film, attrice protagonista Saoirse Ronan e sceneggiatura non originale della stessa Gerwig), dove ha ottenuto quello per i miglior costumi. La Gerwig ha dimostrato ancora una volta che l’opera della scrittrice statunitense Louisa May Alcott del 1868 possiede una forza narrativa e una capacità di appeal di stringente attualità. Al cinema “Piccole donne” è stato proposto con regolare frequenza; basta ricordare la versione del 1933 diretta da George Cukor con Katharine Hepburn, quella del 1949 di Mervyn LeRoy con Elizabeth Taylor, come pure quella di Gillian Armstrong del 1994 con una leva di giovani attrici di successo come Winona Ryder, Claire Danes e Kirsten Dunst. Perché raccontarlo ancora una volta? E come riuscire nell’impresa? La quasi quarantenne Greta Gerwig – prima brillante attrice e sceneggiatrice, poi dal 2018 regista acuta con il family drama “Lady Bird” – ha smontato il testo, lo ha scomposto e lo ha ricucito come un grande flusso di ricordi, di memorie familiari. Tasselli visivi che ci mostrano Jo e le altre sorelle March nel corso degli anni, tra sogni vibranti e sguardi adulti, un misto di nostalgie e sempre luminose attese. La narrazione non è quindi lineare, bensì un flusso quasi disordinato, che all’inizio può persino risultare disorientante, asciutto o ripetitivo, ma ben presto trova colore, emozioni e chiara poesia. Attraverso la figura di Jo – interpretata con grande intensità da Saoirse Ronan – l’autrice ci consegna la fotografia di una giovane ragazza di oggi, che si affaccia alla vita adulta. Non sa bene dove dirigersi Jo, sa solo che ha il cuore gonfio di sogni, di voglia di riuscire a marcare la vita con la propria impronta. Jo vuole diventare una scrittrice professionista e per far questo è disposta a mettersi in gioco lungo vie della mondo: abbandona il nido, la casa di famiglia, e sfreccia verso New York. Lì, nella metropoli, si mantiene come può, insegnando e dando lezioni, nel mentre fa di tutto per scoprire se stessa e raggiungere i suoi obiettivi. Risulta davvero riuscito l’inserto inedito che ci regala la Gerwig, i dialoghi frizzanti tra Jo e il suo editore Larry McPherson (Tracy Letts): Jo dimostra di non aver timore, nonostante la giovane età, di non aver soggezione dinanzi ad accordi commerciali; lei è una giovane donna libera e sicura di sé, non certo disposta a farsi mettere in un angolo. Anzi. Quella di Jo non è però un’ambizione cieca, fine a se stessa. È un desiderio sano di scoperta del mondo, quello che hanno tutti i giovani odierni; la voglia di offrire un contributo di senso alla vita, non in chiave ombelicale, bensì in piena condivisione. Jo non si perde nel mondo, ma lo abita con passo solido, sicuro, perché ha una famiglia alle spalle, perché è amata e seguita passo passo dalla propria famiglia, sempre accanto. E proprio il tema della famiglia – il rapporto tra sorelle, come pure il dialogo genitori-figli –, torna protagonista dal romanzo al film. La Gerwig ci mostra una famiglia stretta negli affanni di tutti i giorni, con i soldi che bastano a malapena a fine mese, ma è comunque felice e coesa. Una famiglia che si prodiga per tutti i suoi componenti, ma anche per il prossimo. Sono ragazze solidali, le sorelle March, che mettono in condivisione quel poco che possiedono e ricevono però molto in cambio dalla comunità, dalle belle relazioni umane che vanno intessendo. Il ritratto di una comunità includente. Con questa nuova versione di “Piccole donne”, dunque, Greta Gerwig rivela di essere un’autrice che sa il fatto suo, capace di innovare raccontando una storia consolidata, trovando la propria via con originalità e senza dubbio stile. Alla riuscita dell’operazione contribuiscono anche le scenografie di Jess Gonchor e i costumi di Jacqueline Durran; in generale, è raffinata la messa in scena tutta. Le musiche, poi, del premio Oscar Alexandre Desplat puntellano il racconto in maniera puntuale e preziosa, infondendo un’atmosfera calda e fiduciosa. Ultimo, ma non meno importante, a irrobustire il racconto, oltre alla presenza di giovani divi hollywoodiani come la Ronan, la Watson e Timothée Chalamet, va ricordata la presenza di veterani come Meryl Streep, Laura Dern, Tracy Letts e Chris Cooper. Nel complesso, dal punto di vista pastorale il film “Piccole donne” è da valutare come consigliabile, poetico e adatto per dibattiti.