Ultimo weekend di settembre sempre all’insegna dei film protagonisti alla 77a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, come pure di novità sul fronte delle piattaforme. Ecco il punto sulle uscite con la Commissione nazionale valutazione film Cei e l’agenzia Sir: è nei cinema il vincitore della Coppa Volpi Pierfrancesco Favino con “Padrenostro” di Claudio Noce, rilettura degli anni di piombo attraverso l’amicizia tra due preadolescenti; da più giorni c’è “La candidata ideale” della regista Haifaa Al Mansour, racconto di impegno civile sul ruolo della donna nella società saudita; poi, il dramma “Non odiare” di Mauro Mancini con Alessandro Gassmann, che esplora nel presente le fratture legate al dramma della Shoah e la preoccupante ripresa di spinte estremiste; infine, su Netflix il film per ragazzi e famiglie “Enola Holmes” di Harry Bradbeer con Millie Bobby Brown, stella di “Stranger Things”.
“Padrenostro”
Ha voluto fortemente questo film Pierfrancesco Favino, che oltre a interpretarlo lo ha anche prodotto. Parliamo di “Padrenostro” firmato da Claudio Noce, uno dei quattro titoli italiani in concorso alla 77a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia e l’unico a uscirne vincitore, con la Coppa Volpi per il miglior attore. Al suo terzo lungometraggio e dopo alcune regie televisive, Claudio Noce decide di confrontarsi con una pagina sofferta della recente storia italiana, gli anni di piombo, raccontandoli dal punto di vista dell’infanzia. A imprimere ancor più pathos al racconto sono le sfumature personali: il regista condivide la tragica esperienza dell’attentato terroristico subito dal proprio padre, Alfonso Noce, ferito nel dicembre del 1976. Claudio Noce parte da quel fatto, ma ci racconta una storia altra: protagonista è Valerio (Mattia Garaci), bambino di dieci anni che assiste al ferimento del padre (Favino) sotto casa a seguito di un agguato terroristico; il padre si salva, ma Valerio non riesce a dimenticare quelle immagini. A queste circostanze così turbolente si aggiunge anche la conoscenza del quattordicenne Christian (Francesco Gheghi), dall’aria scanzonata ma irrequieta. “Padrenostro” è un film di grande fascino, marcato da evidente cura formale e da una fotografia suggestiva; un’opera tesa a schiudere la complessità degli anni del terrorismo ad altezza di bambino, con protagonisti due ragazzi, due innocenti chiamati a portare sulla proprie spalle il peso di una generazione confusa. In alcuni passaggi si colgono richiami al film “Io non ho paura” di Gabriele Salvatores, lo sbocciare di un’amicizia tra due ragazzi su un terreno impervio, spingendo i toni dal dramma alla “favola”. Il film “Padrenostro” segue in parte questo tracciato, con un lavoro davvero sorprendente del regista insieme ai due giovani interpreti. Nel corso della narrazione qualcosa però scappa di mano e il binario narrativo non sempre appare compatto e solido. Senza dubbio notevole è la prova di Favino, che puntella il racconto con misura. Dal punto di vista pastorale il film da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“La candidata ideale”
Proviene sempre dalla Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, ma non dall’edizione 77. È stato, infatti, presentato in concorso nel 2019 “La candidata ideale” (“The Perfect Candidate”) di Haifaa Al Mansour, pioniera nel cinema saudita, la prima donna araba a girare a Riyad con il suo film d’esordio “La bicicletta verde” (2012). Nel nuovo film, “La candidata ideale”, la Mansour prosegue nel raccontare la condizione della donna nella società saudita, rivendicando spazi di autonomia e libertà. Un racconto però senza provocazioni, senza fratture gratuite, bensì uno sguardo che coniuga impegno e gentilezza, spingendosi verso i confini della fiaba sociale. La storia: una giovane dottoressa lavora in un ospedale di provincia, tra resistenze e pregiudizi; per una serie di circostanze, decide di candidarsi al consiglio comunale battendosi per la voce delle donne in politica. I temi alla Ken Loach ci sono tutti, ma la declinazione rimane prudente e composta senza per questo perdere di incisività. L’opera di Haifaa Al Mansour indaga con efficacia lo scenario sociale, lavorativo, ma anche il tessuto domestico e familiare, senza fare polemiche ma avanzando una chiara idea di progresso e libertà. Dal punto di vista pastorale il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto senza dubbio per dibattiti.
“Non odiare”
A Venezia77 è stato presentato nell’ambito della Settimana internazionale della critica: è “Non odiare”, l’esordio alla regia di Mauro Mancini con protagonista Alessandro Gassmann, un racconto drammatico giocato tra memoria della Shoah e amnesie del presente. La storia: Simone (Gassmann) è un chirurgo, di religione ebraica e figlio di un sopravvissuto alla Shoah; trovandosi sulla scena di un incidente causato da un pirata della strada, presta soccorso al ferito ma qualcosa in lui cambia quando vede sul corpo dell’uomo tatuata una svastica. Orrore e risentimento si scontrano nell’animo di Simone con senso del dovere e solidarietà. “Tutto giocato sull’equilibrata e intensa interpretazione di Alessandro Gassmann – indica Eliana Ariola, membro della Cnvf – il film ‘Non odiare’ si mantiene controllato e sobrio nei dialoghi ma non per questo meno efficace nel rappresentare il dilemma morale che vivono i protagonisti, lacerati dall’odio e dal risentimento, eppure quanto mai bisognosi di perdonare e perdonarsi. L’opera solleva interrogativi importanti, ai quali però non offre risposte certe, lasciando allo spettatore il compito di trovarle nel proprio cuore”. Dal punto di vista pastorale il film “Non odiare” è da considerare come complesso, problematico e adatto per dibattiti, utile in ambito educativo con adolescenti accompagnati da un educatore per riflettere sulla memoria della Shoah e sulla pericolosa ripresa di idee di matrice estremista, nazi-fascista.
“Enola Holmes”
Si torna al 221B di Baker Street ma in chiave femminile, con la sorella minore del celebre investigatore Sherlock Holmes, personaggio uscito dalla penna di Arthur Conan Doyle. Parliamo del film “Enola Holmes”, disponibile dal 23 settembre sulla piattaforma Netflix, diretto da Harry Bradbeer e interpretato nonché prodotto dalla giovane star Millie Bobby Brown, lanciata dalla serie Tv “Stranger Things”. L’opera prende le mosse dai romanzi per ragazzi di Nancy Springer (sei pubblicati tra 2006-2010) ed è ambientata sempre nell’Inghilterra vittoriana: è la storia della sedicenne Enola (la Brown), terzogenita di famiglia Holmes dopo Mycroft (Sam Claflin) e Sherlock (Henry Cavill), cresciuta con spirito di indipendenza dalla madre Eudoria (Helena Bonham Carter), attivista per diritti delle donne. Enola è arguta, perspicace e sprezzante del pericolo; l’improvvisa scomparsa della madre e l’incontro con il giovane visconte Tewkesbury (Louis Partridge) la spingono a seguire le orme del fratello Sherlock, gettandosi in una girandola di misteri e pericoli. Sia chiaro, la serie BBC “Sherlock” con il suo protagonista Benedict Cumberbatch è inarrivabile, ma “Enola Holmes” è davvero un ottimo prodotto, che allarga l’orizzonte creato da Conan Doyle in maniera originale e gustosa. Il film, quasi certamente l’apripista di una serie, avvicina il mondo di Sherlock ai ragazzi di oggi, nonché alle loro famiglie, con una decisa e bella spinta femminista. In “Enola Holmes” troviamo anche un po’ dei “Goonies” e di “Indiana Jones”, o meglio delle “Avventure del giovane Indiana Jones”. Tutto gira alla perfezione con una narrazione avvincente e brillante, sorretta da attori britannici di primo piano. La Brown, in particolare, mette a segno un ruolo che la fa decollare dal mondo di “Stranger Things”. Dal punto di vista pastorale “Enola Holmes” è consigliabile e nell’insieme brillante.
Articolo disponibile su Agenzia SIR