Interpreti e ruoli
Golshifteh Farahani (Selma), Majd Mastoura Mastoura (Naim), Aïsha Ben Miled (Olfa), Feryel Chammari (Baya), Hichem Yacoubi (Raouf), Ramla Ayari (Amel), Moncef Anjegui (Mourad)
Soggetto
Selma Derwich, giovane psicanalista, lascia Parigi, città nella quale è cresciuta, per tornare nella natia Tunisi e aprire uno studio. Desiderosa di dare il proprio contributo alla ricostruzione del suo Paese, Selma deve fare i conti con una iniziale diffidenza, una burocrazia esasperante e un poliziotto troppo zelante….
Valutazione Pastorale
Opera prima di Manéle Labidi – classe 1982, regista di origine tunisina trapiantata a Parigi – “Un divano a Tunisi” racconta la storia di Selma, interpretata con la giusta dose di leggerezza dall’iraniana Golshifteh Farahani (“Paterson”, 2016; “Pirati dei caraibi. La vendetta di Salazar”, 2017). Selma è una psicoanalista nata a Tunisi e cresciuta a Parigi, che fa ritorno nel suo Paese desiderosa di prendere parte attiva alla ricostruzione dopo la “Primavera araba” del 2010-2011. E vuole farlo partendo dalla “ricostruzione delle persone”. Avvia, così, la sua attività in uno studiolo all’ultimo piano di un palazzo della periferia di Tunisi. I clienti, dopo un primo momento di diffidenza e qualche equivoco arrivano numerosi. Lo spettatore assiste così a una sfilata di pittoreschi, esilaranti, personaggi, ritratti irresistibili eppure velati di malinconia, che Selma ascolta con impareggiabile imperturbabilità e infinita pazienza, soprattutto nel cercare di rimettere qualcuno di loro nei ranghi, all’interno di un corretto rapporto terapeuta-paziente. A complicare le cose c’è poi un poliziotto troppo solerte che costringerà Selma a fare i conti con una burocrazia esasperante e una diffidenza ancora molto radicata verso usi e costumi occidentali decisamente troppo avanti per la società tunisina.
“Un divano a Tunisi” è un film divertente, una vera e propria “commedia terapeutica” marcata da gradevolezza e garbo. Un’opera dalla regia ben calibrata e sorretta da interpreti tutti convincenti, che riescono a dare ai personaggi la giusta dose di umorismo senza scivolare mai nel macchiettistico. A ben vedere, dal punto di vista strettamente narrativo, il film risulta a tratti sovraccarico di situazioni e temi che non vengono adeguatamente approfonditi né completamente risolti, lasciando pertanto lo spettatore forse con troppi interrogativi, con la curiosità di comprendere l’evoluzione della storia e dei suoi personaggi. Nel complesso il ritratto della protagonista Selma appare senza dubbio ben tratteggiato, una donna ribelle e determinata, forte e padrona del proprio destino, coerente e pronta a rispondere delle sue decisioni. Forse troppo anticipatrice, come menzionato, rispetto al quadro socio-culturale nella Tunisia di oggi. Un film che sembra andare nella direzione delle opere della saudita Haifaa al-Mansour (“La bicicletta verde”, 2012; “La candidata ideale”, 2020), prediligendo i toni morbidi della commedia. Dal punto di vista pastorale il film “Un divano a Tunisi” è da valutare come consigliabile e nell’insieme problematico.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni di dibattito come prodotto godibile e dai non pochi risvolti di senso a livello tematico sui possibili cambiamenti delle società arabe e in particolare sul ruolo della donna.