ROMAFF15: Alla Festa del Cinema l’atteso doc “Mi chiamo Francesco Totti” di Alex Infascelli

sabato 17 Ottobre 2020
Un articolo di: Sergio Perugini

Uno degli eventi più attesi alla 15a Festa del Cinema di Roma è senza dubbio il documentario “Mi chiamo Francesco Totti” di Alex Infascelli, racconto in primo piano della vita e della carriera dell’indimenticato capitano della Roma, che ha lasciato la serie A nel 2017. E doveva essere un’occasione speciale per Francesco Totti, per raccontarsi e ritrovare quel pubblico di appassionati che lo seguono sempre con grande slancio. L’improvvisa scomparsa del padre a causa del Covid-19 ha però inevitabilmente infranto il clima di festa, costringendo Totti a rinunciare a ogni incontro pubblico. Il documentario è stato accolto comunque alla proiezione della stampa con un lungo applauso. In cartellone sabato 17 ottobre è anche il giorno del cinema francese con François Ozon, che presenta il mélo “Éte 85”, come pure del giovane messicano Rodrigo Fiallega con il fosco dramma “Ricochet”. Ecco il punto sul terzo giorno di Festival con la Commissione nazionale valutazione film CEI e l’Agenzia SIR.

“Mi chiamo Francesco Totti”
Non serve essere appassionati di calcio oppure tifare per la squadra della Roma per apprezzare il documentario “Mi chiamo Francesco Totti” diretto da Alex Infascelli. Chi scrive, infatti, tiene (moderatamente) per l’Inter ma è soprattutto un appassionato di tennis. Come si rimane però rapiti – pur non capendo nulla di tennis – per “Open”, straordinaria biografia-romanzo sul campione Andre Agassi che ha polverizzato record di vendite, così ci si emoziona, e non poco, guardando il film sulla straordinaria carriera di Francesco Totti, emblema identitario di una squadra di calcio e (forse) anche di una città.
Voce narrante è quella dello stesso Francesco Totti, che assume un ruolo di primo piano anche nella costruzione del racconto insieme al regista (il film prende le mosse dalla biografia “Un Capitano” scritta con Paolo Condò). Si parte allora dal principio, dalla famiglia e dal clan degli amici di sempre, i punti fermi nel sistema solare Totti: a loro sono rivolti i continui pensieri e con loro il campione condivide tutto, dalla formazione agli esordi nella Lodigiani, passando poi nella Primavera della Roma e fino alla serie A, neanche diciottenne. Il calcio è di certo il filo rosso del racconto, con tutti gli alti e bassi vissuti fedelmente con la squadra amata: dall’estasi per lo scudetto nel 2001 ai giorni difficili dell’infortunio nel 2006 oppure alle tensioni con l’allenatore Luciano Spalletti; e ancora, le presenze in Nazionale e la memorabile vittoria ai Mondiali in Germania nel 2006. Altro capitolo fondamentale dell’universo Totti è la famiglia che si è costruito da adulto, quella con la conduttrice Ilary Blasi e i tre figli, sempre presenti accanto a lui. Insomma, un flusso di ricordi, istantanee, filmati, aneddoti, curiosità, tra pubblico e privato, fino a quel 28 maggio 2017 con l’addio al pallone al termine della partita con il Genoa, un momento entrato nella storia del calcio italiano.
Alex Infascelli è un regista di talento, che sa usare bene la macchina da presa, con una formazione negli Stati Uniti e un eclettismo visivo-narrativo non comune; firma il documentario accettando di condividere molto con lo stesso Totti, senza paura di esserne schiacciato (o di essere a tratti parziale). E il film funziona, e pure molto bene, perché unisce cronaca sportiva e raccordi privati-familiari, tutti marcati da tenerezza e pudore, come pure da quell’inconfondibile carica ironica tipica del campione. C’è tutto nel racconto, soprattutto emerge forte quell’infinito amore per il calcio, per la Roma e la Capitale. Quello è il tratto dominante, cui si sommano il tessuto degli affetti e le riflessioni di un uomo che è pronto a mettere un punto di senso sul proprio passato, su quel maggio 2017, e prepararsi anche a nuove avventure. E questo lo dice chiaramente Francesco Totti, ovvero che la sua storia calcistica è magica, persino benedetta, ma la vita continua e lui è pronto a morderla, condividendola ovviamente con il suo clan di fedelissimi.
Un documentario pertanto coinvolgente ed emozionante, che tiene agganciati per oltre 100 minuti con una vigorosa tensione narrativa. Dal punto di vista pastorale “Mi chiamo Francesco Totti” è consigliabile e nell’insieme semplice, adatto per dibattiti sul mondo dello sport.

“Été 85”
In programma alla Festa del Cinema di Roma c’è anche François Ozon, importante autore d’Oltralpe che ogni volta sorprende per creatività e stile inconfondibile, come pure per l’evidente carica problematica dei suoi racconti. Al Festival della Capitale presenta “Été 85” un mélo che prende le mosse dal romanzo “Danza sulla mia tomba” di Aidan Chambers, la storia di un’estate in cui tutto cambia per due giovani adolescenti Alexis (Félix Lefebvre) e David (Benjamin Voisin): la scoperta dell’amore, quello bruciante, ma anche della gelosia e dello smarrimento. Come ci racconta il presidente della Commissione nazionale valutazione film CEI Massimo Giraldi: “Ozon è un regista che sa il fatto suo, dotato di una linea estetica notevole e di una ricercatezza visiva mai banale. In quest’opera prosegue un percorso narrativo che unisce piacere e dolore, bellezza e sofferenza, in un impasto di attonito scrutare le indifese età della vita. Ozon cala sui due protagonisti con rabbia e candore, dando ali a una felicità giovanile che fa i conti con la realtà quotidiana, e ne resta però sconfitta. Accomodante, geloso, un po’ ruffiano, il film scherza troppo con il fuoco della leggerezza esistenziale, e sbanda qua e là con troppa frequenza”. Dal punto di vista pastorale, “Été 85” è complesso, problematico e da riservare a un solo pubblico adulto per i temi che mette in campo.

“Ricochet”
È targato Messico-Spagna il dramma “Ricochet” di Rodrigo Fiallega. È il viaggio verso lo smarrimento della ragione di un padre, Martijn, che perde prematuramente suo figlio. L’uomo e la sua famiglia conducono un’esistenza pacata e sofferente, perché la morte del figlio li ha svuotati, privati da ogni slancio esistenziale. Il mondo di Martijn crolla quando scopre che l’assassino del figlio sta per uscire di pigione; il dolore diventa martellante e apre un varco nella sua mente alla vendetta. Come rimarca Eliana Ariola, membro sempre della Commissione film CEI: “È il racconto della discesa negli inferi del dolore, della privazione, per un genitore. All’inizio la narrazione è attenta, misurata e persino troppo quieta, didascalica; superata la metà del film, però, c’è un brusco cambio di rotta che porta la storia su un grado di problematicità bruciante, mettendo a tema la costruzione della vendetta come sola risposta al sopruso subito. Non c’è Stato, giustizia o famiglia che tenga, niente e nessuno arresta la sete di odio per un dolore incontenibile. Una soluzione sovraccarica e non ben impostata, che non si può accettare da un punto di vista spettatoriale”. Dal punto di vista pastorale, “Ricochet” è da valutare come complesso e problematico, adatto solo a un pubblico adulto.

Articolo disponibile anche su Agenzia SIR

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