L’ottavo giorno alla Festa del Cinema di Roma si apre con il thriller italo-belga “The Shift”, esordio alla regia di Alessandro Tonda, che mette a tema l’escalation terroristica in Europa e i rischi di radicalizzazione per adolescenti isolati e fragili. Di produzione cilena è poi “El olvido que seremos” del premio Oscar spagnolo Fernando Trueba, che adatta per lo schermo l’opera letteraria di Héctor Abad Faciolince. Infine, dalla Corea del Sud arriva l’horror “Peninsula” di Yeon Song-ho, uno zombie movie in chiave pandemica. Il punto del giorno con la Commissione nazionale valutazione film CEI e l’Agenzia SIR.
“The Shift”
In tempo di pandemia, in lotta con un nemico invisibile, tornare a parlare di emergenza terroristica disorienta non poco, perché forse si è suggestionati e confusi da questo allarme senza tregua che dura ormai da quasi un anno. Invece il pericolo terrorismo rimane un nodo scoperto nella nostra società, richiamando proprio gli ultimi avvenimenti in Francia dello scorso settembre. E proprio pensando alla Francia, ai dolorosi fatti del 2015, il regista Alessandro Tonda ha concepito – insieme al co-sceneggiatore Davide Orsini – l’idea del suo primo lungometraggio, “The Shift”, realizzato in un importante progetto di coproduzione tra Italia e Belgio.
La storia di “The Shift” in breve: Bruxelles oggi, è mattina presto e molti liceali stanno entrando a scuola; nell’atrio due ragazzi islamici, Abdel ed Eden, fanno fuoco all’impazzata. Il primo dei due si fa esplodere, mentre il secondo rimane ferito; messo in salvo, Eden (Adam Amara) viene caricato in ambulanza dai paramedici Isabel (Clotilde Hesme) e Adamo (Adamo Dionisi). Nel viaggio verso l’ospedale il ragazzo riprende conoscenza e minaccia i due soccorritori con l’esplosivo che porta ancora legato al petto. L’abitacolo dell’ambulanza diventa così terreno di scontro in cerca di dialogo e forse salvezza.
È un thriller serrato, claustrofobico, “The Shift”, che fotografa con grande realismo la tensione di costante pericolo che serpeggia in Europa, esposta all’azione isolata di terroristi senza scrupoli. Nell’abitacolo dell’ambulanza si consuma uno scontro di civiltà, tra chi vive una felice e riuscita esperienza di integrazione come i due paramedici – Isabel è belga, sposata con un tunisino, mentre Adamo è un italiano residente da molti anni a Bruxelles –, e chi come l’adolescente Eden, senza amici e supporti, scivola tra le maglie del terrorismo raggirato da adulti senza scrupoli. Oltre a spingere sulla linea action-thriller, Tonda mette in campo anche un riuscito approfondimento sulla figura del giovane terrorista: il regista si tiene lontano infatti dalla facile logica bianco-nero, buoni-cattivi, bensì ci aiuta a comprendere chi sia veramente Eden e come sia deragliato nella violenza. A ben vedere, il ragazzo non è cresciuto nell’odio, perché la sua famiglia appare semplice e onesta; Eden è stato solamente troppo fragile e isolato, facendosi preda facile della seduzione del male.
Guardando apertamente a film di tensione come “United93”, “Captain Phillips” e “Lebanon”, Alessandro Tonda realizza un’opera convincente, con una sua identità precisa. La narrazione si mantiene in tutti gli 80 minuti ben fluida e compatta; risulta forse meno centrata nell’epilogo, risolto con troppa fretta, probabilmente per mantenere alto il livello di incisività. Dal punto di vista pastorale il film “The Shift” è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“El olvido que seremos”
Anche “El olvido que seremos”, come molti film presentati alla Festa del Cinema di Roma, era in predicato per il Festival di Cannes 2020. Si tratta dell’opera del regista Fernando Trueba (premio Oscar per il miglior film straniero nel 1993 con “Belle Époque”) che racconta la storia vera di Héctor Abad Gómez, medico e attivista per i diritti umani in Colombia negli anni ’70 e ’80, ucciso a Medellín nel 1987. La sua storia è diventata un romanzo di successo, “El olvido que seremos”, scritta proprio dal figlio Héctor, romanzo da cui il film di Trueba prende le mosse.
Come afferma Eliana Ariola, membro della Commissione nazionale valutazione film CEI: “Cuore del racconto è la famiglia del medico, lo spazio della sua casa, in cui si respira amore reciproco, profonda libertà e creatività. Tutto parte da lì e lì ritorna. Il sacrificio di quest’uomo buono e coraggioso trova senso proprio nell’amore solidale rivolto al prossimo. Una figura edificante che, seppure rimarcando la sua distanza dalla religione e dalla fede, appare assolutamente luminosa nel suo spendersi tenace nella ricerca della verità e della giustizia per tutti, in particolare per i più sfortunati”. Il film “El olvido que seremos” dal punto di vista pastorale è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
“Peninsula”
Chiariamo subito che siamo dalle parti del cinema di genere, un action movie giocato tra zombie e pandemia. È “Peninsula” del regista sudcoreano Yeon Sang-ho, noto per il successo di “Train to Busan” nel 2016; e proprio a quel film si ricollega l’autore con questo suo nuovo capito in stile apocalittico. La storia: siamo a Hong Kong, dove sono rifugiati i sudcoreani sopravvissuti alla pandemia che ha colpito il Paese, una piaga che ha prodotto solo sterminio e zombie. Alcuni anni dopo quattro disperati accettano la missione impossibile di tornare a Seul per recuperare un camion pieno di banconote, ma come è prevedibile il pericolo è dietro l’angolo…
Come dichiara Massimo Giraldi, presidente della Commissione nazionale valutazione film CEI: “Il film ‘Peninsula’ è una storia che si posiziona dall’inizio nell’ambito del genere zombie, e lì resta bloccata, chiusa in una sviluppo narrativo sempre più asfittico. Il cinema sudcoreano conferma di avere registi di grande valore, pensando anche al fresco premio Oscar Bong Joon-ho per ‘Parasite’, ma non tutti sanno gestire al meglio talento e bravura. Yeon Sang-ho si avvita infatti in un copione senza interesse alcuno, tutto giocato tra horror, violenza e brutalità. Con gli zombi non si può scherzare più di tanto (non tutti infatti sanno dirigere opere intriganti e di qualità come ‘I morti non muoiono’ di Jim Jarmusch), si finisce scottati in una pessima autoreferenzialità, che sa molto di formalità e di inutile bravura: si veda il finale all’insegna di un deteriore uso del ralenti. Peccato”. Dal punto di vista pastorale, il film “Peninsula” è senza dubbio complesso e problematico, da destinare per le scene di violenze a profusione a un solo pubblico adulto.
Articolo disponibile anche sul portale dell’Agenzia SIR