Quel camice che rassicura. Ci siamo già occupati della serie “DOC. Nelle tue mani” la scorsa primavera, quando la sua messa in onda su Rai Uno, in pieno lockdown da Covid-19, aveva ottenuto consensi sorprendenti. “Il miglior esordio per una serie Rai dal 2007”, riporta la nota stampa della Rai. Ora “DOC” è tornato con dei nuovi episodi: non una stagione nuova di zecca, bensì la seconda parte della prima, interrotta bruscamente a causa del blocco delle riprese per il Coronavirus. Dal 15 ottobre, dunque, su Rai Uno si snodano questi 8 episodi inediti. Confermatissima ovviamente la squadra targata Lux Vide e Rai Fiction, dalla regia di Jean Maria Michelini e Ciro Visco al cast guidato da Luca Argentero; al suo fianco Matilde Gioli, Sara Lazzaro, Giovanni Scifoni, Gianmarco Saurino e Simona Tabasco. La storia è incentrata sempre sul racconto del medico di Codogno Pierdante Piccioni (dal libro autobiografico “Meno dodici”), rinato a nuova vita personale e professionale dopo un brutto incidente.
Rinascere in corsia. Lo avevamo lasciato a lottare per riconquistare la moglie Agnese, oltre che a cercare risposte su se stesso. Andrea Fanti non è più primario di Medicina d’urgenza, ma si muove tra le corsie ricoprendo a metà strada il ruolo di medico e di volontario. Fanti non è più quel dottore dai modi asciutti e cinici; al contrario, ha riscoperto le virtù dell’ascolto e della prossimità. Guarda così ai suoi pazienti non solo come cartelle cliniche bensì come persone, e questo produce un riverbero sull’intero reparto ospedaliero…
Pros&Cons. Senza dubbio è uno dei successi di stagione. I nuovi episodi di “DOC” erano infatti molto attesi, dopo la parziale messa in onda iniziale. E il pubblico non si è dimenticato, anzi. L’accoglienza delle prime puntate a ottobre è stata granitica, con un seguito di oltre 7milioni di spettatori e il 30%di share. Come mai tanto successo? E perché in un momento simile, segnato da una pandemia bruciante? Le ragioni non sono poche. Partiamo con il ribadire l’indubbio gradimento verso il genere medical drama – lo confermano i successi duraturi di “E.R.”, “Grey’s Anathomy”, “Dr. House”, “The Good Doctor” e il più recente “The Resident” –, dove ai casi clinici si intrecciano dinamiche del cuore e problematiche familiari. C’è poi in “DOC” una costruzione narrativa di certo votata alla rassicurazione: la malattia e il male ci sono, sono in campo, ma mai protagonisti, mai in una posizione dominate. Sia chiaro, non è che venga smorzata la carica di realismo nella storia, semplicemente non viene concessa l’ultima parola al dolore. Ci si appassiona quindi a “DOC” perché è un racconto giocato sul riscatto e sulla resilienza, sulla voglia di rialzarsi nonostante tutto. E storie di questo tipo non possono che far bene in uno scenario così asfittico come la realtà attuale. Unico neo della serie è la programmazione: eccessiva è la dilatazione, con un solo episodio a settimana anziché due.
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