Terzo film per Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, e ancora una volta una conferma nel segno dell’impegno civile. Parliamo di “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, presentato come evento speciale alla 16a Festa del Cinema di Roma: una commedia a sfondo drammatico sul mondo del lavoro in un futuro già così presente, dove gli algoritmi dettano legge e la vita dell’uomo si spiaggia in una rovinosa precarizzazione senza ritorno. Ispirandosi al concept “Candido e la tecnologia” del collettivo I Diavoli, Pif dirige un film politico con l’intento di scuotere la società dal torpore davanti a una tecnologia sempre più isolante e disumanizzante. Il punto Cnvf-Sir.
Una vita da rider
Roma, Arturo (Fabio De Luigi) è un manager oltre i quaranta che riesce a convincere l’azienda in cui lavora a introdurre un algoritmo capace di ottimizzare le risorse umane. Un successo per l’impresa, ma non per lui: l’algoritmo, infatti, lo fa licenziare perché lo ritiene non performante secondo gli standard richiesti. Tagliato fuori dal mercato del lavoro, anche dai siti e app che aiutano al (ri)collocamento (dove il limite di età è non oltre i 40 anni), ad Arturo non resta che reinventarsi come rider di consegne a domicilio per il colosso FUUBER. Stremato dalla fatica e dai ritmi serrati, con consegne diurne e notturne, senza contare poi lo stipendio imbarazzante, Arturo trova conforto solo in Stella (Ilenia Pastorelli), un ologramma-assistente virtuale sempre targato FUUBER per compensare il bisogno di compagnia nelle persone.
Le insidie dell’algoritmo
Inattesa, felice, sintonia si registra sabato 23 ottobre tra la Festa del Cinema di Roma e la 49a Settimana Sociale dei cattolici italiani a Taranto, dove si sta discutendo di “ambiente, lavoro, futuro”. Punto di contatto è infatti il film “E noi come stronzi rimanemmo a guardare” di Pierfrancesco Diliberto – i suoi precedenti “La mafia uccide solo d’estate” (2013) e “In guerra per amore” (2016) –, una metafora sullo scenario sociale e lavorativo di domani, che sembra però avere già le fattezze del presente, dove algoritmi decidono quali risorse umane risultano utili o meno alle aziende e al contempo i diritti dei lavoratori sembrano implodere senza alcun ancoraggio legislativo o sindacale. Diritti, insomma, che si sciolgono come ghiaccioli al sole.
“Lo ha deciso l’algoritmo!”. Questo è il tormentone che Pif inserisce nel film, aggiungendo: “L’algoritmo ormai sovrintende, sempre più, le dinamiche di gran parte della società, sempre più saremo costretti a fare le cose più insensate e illogiche, cambiando magari usanze e tradizioni, fino a vivere una vita che non ci appartiene. Quando poi l’algoritmo si incomincia a utilizzare anche nel mondo del lavoro, quindi dei diritti, e non solo per la prenotazione del biglietto del cinema, allora la cosa diventa maledettamente seria”.
Confermando la sua vis narrativa che unisce l’umorismo irriverente al cinema di impegno civile, Pierfrancesco Diliberto mette in racconto le schizofrenie della nostra società, amplificandone la portata in chiave angosciante, con l’intento di disegnare un domani distopico dove l’uomo è ridotto a una posizione marginale, subalterna, rispetto alla tecnologia, al suo protagonismo inarrestabile. Il titolo del film, “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, rimanda quindi a questo immobilismo del nostro presente rispetto a un’invasione di campo della tecnologia, in un dilagare a briglia sciolta di social media e intelligenza artificiale. Pif picchia duro, non rinunciano però al suo umorismo simpatico e irriverente. Si serve con efficacia della maschera comica di Fabio De Luigi, che scopriamo qui anche opportunamente tragica, capace di ampliare la gamma di sfumature interpretative che l’attore mette usualmente in scena.
Soli tra Like e follower
Accanto alle preoccupazioni verso un mondo che va cambiando di segno, proteso verso una vertigine senza ritorno, nel film Pif allarga l’orizzonte della riflessione alla dimensione antropologica e relazionale: la solitudine dell’uomo oggi nel carnevale dei social media. E recuperando probabilmente i guadagni del film “Her” (2013) di Spike Jonze – Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale –, dove un solitario Joaquin Phoenix trova prima compagnia e poi l’amore nell’assistente virtuale OS1 detta “Samantha” dalla voce suadente di Scarlett Johansson, Pif mostra come il suo protagonista Arturo-De Luigi, ormai alla deriva senza più lavoro, reputazione o legami, non abbia altra alternativa che abbandonarsi all’amicizia virtuale, alle parole confortevoli di Stella, programmata per essere accondiscendente e conciliante. E come lui tanti altri nella società: donne e uomini alla ricerca di prossimità e di ascolto, messi alla prova da una quotidianità sempre più sfibrante e isolante.
Un film che diverte, graffia e convince (anche se meno nel finale)
Nell’insieme, la scrittura di Pif con Michele Astori funziona, toccando nodi scoperti della nostra contemporaneità; il copione mostra ritmo, fluidità e buone dinamiche narrative, con intuizioni comiche gustose ed esilaranti. Lo sfondo futuristico, poi, appare adeguatamente calibrato e credibile, con un uso degli effetti grafici ben integrati, senza troppe sbavature.
Tasto dolente si rintraccia nell’epilogo del film, una conclusione abbastanza sbrigativa, aperta e ammantata d’amarezza. Dopo una serie di riuscite suggestioni-invettive tragicomiche il regista sembra ricercare in qualche modo un punto di approdo narrativo il più possibile credibile, ma il risultato non appare come tale. Certo, tenendo conto della linea del racconto, l’orizzonte che si schiude al protagonista Arturo non può che essere amaro, c’è poco da fare, come a ribadire che per l’uomo non si prevede un futuro roseo se non è pronto a mettere mano alle sfide poste da clima, lavoro e tecnologia.
Prodotto da Sky Original, Wildside, Vision Distribution e I Diavoli, “E noi come stronzi rimanemmo a guardare” è un’opera che diverte, graffia e convince, anche se non raggiunge forse quella compattezza e intensità del film precedenti del regista, soprattutto il suo folgorante esordio “La mafia uccide solo d’estate”, dove l’impegno civile conquista un approdo emozionante ed educativo. Qui in “E noi come stronzi rimanemmo a guardare” ci sono lo sberleffo, il monito e persino un lampo di favola sociale-sentimentale, ma a ben vedere l’opera si arena nelle secche di un finale non del tutto risolto. “E noi come stronzi rimanemmo a guardare” è comunque un film valido, che merita attenzione e risonanza visti i temi in campo; dal punto di vista pastorale è consigliabile, problematico e per dibattiti.
Articolo disponibile anche sul portale dell’Agenzia SIR