Dentro la Tv: su Sky-Now “The Gilded Age” serie dal genio creativo di Julian Fellowes
martedì 29 Marzo 2022
Un articolo di:
Sergio Perugini
“Downton” d’Oltreoceano. Più volte nella rubrica “Dentro la Tv” ci siamo occupati delle produzioni inglesi, soprattutto di matrice storica. I cosiddetti period drama, i film in costume, capaci di far rivivere sullo schermo successi letterari del XVIII o XIX secolo. Non si contano, infatti, le versioni Bbc o Itv dei romanzi di Jane Austen (“Orgoglio e pregiudizio”, “Persuasione” o “Sanditon”), Charlotte Brontë (“Jane Eyre”), Elizabeth Gaskell (“Cranford”, “Nord e Sud”) oppure Winston Graham (“Poldark”). Poi è arrivato lord Julian Fellowes, Premio Oscar per la sceneggiatura “Gosford Park”, e ha ridisegnato i canoni del period drama creando uno dei successi britannici più apprezzati e popolari dell’ultimo decennio, la serie “Downton Abbey” (2011-16), elegante e avvincente racconto familiare durante il regno di Giorgio V, una raffinata metafora dei sentimenti dai non pochi rimandi all’oggi. Negli anni, poi, Fellowes ha realizzato anche “The English Game” (2020) e “Belgravia” (2021), ma il suo vero ritorno sul sentiero di “Downton” è con “The Gilded Age”, novità dell’offerta Sky e Now.
L’era “Gilded”. Nella New York del 1882 giunge Marian (Louisa Jacobson, figlia di Meryl Streep), giovane di buona famiglia rimasta orfana e costretta a chiedere aiuto alle zie Agnes (Christine Baranski) e Ada (Cynthia Nixon). Nella grande città sperimenta frizioni tra nobili e nuovo ceto borghese, come pure le dinamiche con il mondo “downstairs”…
Pros&Cons. Gli elementi tematici alla “Downton Abbey” sembrano esserci tutti: cornice storica, racconto sociale tra “upstairs” e “downstairs”, ma anche linea romance e family drama. Se il binario appare dunque già chiaro, quello che sorprende e si apprezza in “The Gilded Age” è la capacità di innovazione di Julian Fellowes: anzitutto lo scrittore cambia scenario, abbandona Londra e fa rotta Oltreoceano, esplorando anche temi sociali differenti, a cominciare dalla questione razziale della comunità afroamericana, ma anche le dinamiche dello sviluppo economico negli Stati Uniti. Esaminando i primi episodi di “The Gilded Age”, torna anche un diffuso protagonismo femminile, attraverso un racconto che valorizza la donna in cerca di spazi di indipendenza e giusta affermazione, al di là delle regole sociali, dell’ingombrante perimetro patriarcale o del colore della pelle. Nella linea narrativa di Fellowes ci sono affondi molto forti, ma declinati sempre con raffinatezza, acume e una punta di brillante ironia. Non c’è provocazione gratuita, mai, ma uno sguardo di senso, persino divertito, nel rispetto della cornice storica. Punto forte di “The Gilded Age” è la messa in scena, l’accuratezza formale tra scenografie, location e costumi: un quadro visivo impeccabile che genera trasporto e coinvolgimento. Insomma, una riuscita armonia tra forma e contenuto, con l’augurio che con il passare delle puntate eguagli la fortuna di “Downton”. La serie è consigliabile, problematica e per dibattiti.