Su Netflix la miniserie “Anatomia di uno scandalo”. La violenza sulle donne in un serrato legal drama
giovedì 21 Aprile 2022
Un articolo di:
Sergio Perugini
Una incalzante miniserie britannica. È “Anatomia di uno scandalo” (“Anatomy of a Scandal”) diretta dalla regista S.J. Clarkson e firmata dallo sceneggiatore-produttore David E. Kelley, autore dei successi “Big Little Lies”, “The Undoing” e “Nine Perfect Strangers”. Punto di partenza è il romanzo omonimo di Sarah Vaughan.
La storia. Londra oggi, James Whitehouse è un ministro del governo inglese, sposato con la compagna di università Sophie, con cui ha due bambini. Riceve la citazione in giudizio per la presunta violenza sessuale ai danni della ricercatrice parlamentare Olivia Lytton. A difendere la donna è l’avvocato di successo Kate Woodcroft. Il serrato dibattimento tra le aule di tribunale provoca scossoni non solo nella famiglia Whitehouse ma anche nella politica del Paese…
Un legal drama che sconfina nel thriller psicologico. È questa la chiave di lettura di “Anatomia di uno scandalo”, miniserie da sei episodi che viaggia spedita, attivando nello spettatore una visione magnetica. Si entra nelle pieghe della storia e al contempo nelle stanze della mente, della memoria, dei protagonisti, che celano tutti segreti e rimossi. Un valzer delle ambiguità che risulta riuscito per la maggior parte delle puntate, rischiando però di spiaggiarsi nel giro finale (gli ultimi due episodi) per una serie di colpi di scena un po’ forzati. Prospettiva del racconto è il ceto benestante inglese, la sua apparente distanza da regole e giustizia, imperturbabile nella presunta impunibilità (riferimento al film “Posh – The Riot Club” del 2014 di Lone Scherfig). Laddove la sceneggiatura presenta qualche incertezza, le interpretazioni di Michelle Dockery (la Lady Mary di “Downton Abbey”), Rupert Friend (l’indimenticato Peter Quinn in “Homeland”) e Sienna Miller (“American Sniper”) riescono a mantenere saldo l’impianto del racconto e la sua intensità. Tema che si evidenzia con forza è la denuncia contro la violenza sulle donne, sulle aggressioni sessuali perpetrate nei luoghi di formazione o sui posti di lavoro. Anche se non sempre tutto torna o appare efficace (risultano un po’ stonati gli insistiti flashback sul passato dei protagonisti a Oxford), nell’insieme “Anatomia di uno scandalo” risulta una valida miniserie, una buona proposta, dall’adeguato approfondimento tematico e psicologico; punto di forza sono l’ottima messa in scena e la significativa prova degli attori. La miniserie “Anatomia di uno scandalo” è complessa, problematica e per dibattiti.