“All is Lost”. Tutto è perduto. È il titolo di un film di J.C. Chandor con protagonista un intenso Robert Redford: una barca a vela alla deriva dopo una violenta tempesta; una lotta per la sopravvivenza nell’Oceano Indiano. Un “survival movie” dagli affondi esistenziali, genere caro a Hollywood, soprattutto negli ultimi due decenni. Pensiamo, infatti, a “Cast Away” (2000) di Robert Zemeckis con Tom Hanks a caccia del terzo Oscar, con una prova fisica sbalorditiva, come pure a “Vita di Pi” (2012) di Ang Lee oppure a “Resta con me” (“Adrift”, 2018) di Baltasar Kormákur – autore anche di “Everest” (2015) – con Shailene Woodley e Sam Claflin. In Tv la serie iconica di riferimento è “Lost” (2004-10) che vede tra i creatori J.J. Abrams, un trionfo tra Emmy e Golden Globe. E tanto “Lost” quanto “Homeland” (2011-20), altro gioiello della serialità USA, sono i punti cardinali della nuova scommessa produttiva Rai, “Sopravvissuti”, serie drammatica realizzata insieme a France Télévision e ZDF. Dal 3 ottobre, 6 prime serate su Rai Uno e RaiPlay.
Genova. Dal capoluogo ligure salpa la barca a vela Arianna. L’imbarcazione è dedicata alla figlia scomparsa dell’armatore Armando Leone. A bordo un equipaggio scelto tra dipendenti dei Cantieri Leone e nomi dello spettacolo, con l’obiettivo di una traversata nell’Atlantico per beneficienza. A seguito di una feroce tempesta, se ne perdono le tracce. Un anno dopo lo scafo ricompare con a bordo pochi superstiti…
Pros&Cons. È un progetto su cui la Rai ha scommesso molto, ponendosi capofila di una cordata europea di Tv pubbliche. Una serie dal cast di richiamo dove tra i protagonisti troviamo molta Italia: Lino Guanciale, Barbora Bobulova, Fausto Maria Sciarappa e Alessio Vassallo. Il soggetto nasce da un’operazione messa in campo insieme al Master di Scrittura Seriale di Rai Fiction, un team coordinato dall’headwriter Viola Rispoli e dallo sceneggiatore Massimo Bacchini. Dai primi episodi, l’impianto di “Sopravvissuti” si muove tra il thriller esistenziale e il survival movie, con dinamiche da giallo sfumato nel poliziesco. Da subito, infatti, si intuisce la linea crime-mistery che si lega alla sfida della sopravvivenza in mare, una sfida che poggia su una sequela di mezze verità e irrisolti nel passato dei protagonisti. Cosa è successo davvero su quella barca? Come sono morte tutte quelle persone? L’enigma si impossessa subito della narrazione, sostenuta e amplificata da un gioco incalzante di flashback (a tratti eccessivo). La regia di Carmine Elia è ancora una volta agile e solida – sue sono “La porta rossa” e “Mare fuori” –, capace di governare bene la dimensione introspettiva, i tumulti dell’animo, e al contempo quella ambientale, mantenendo alta la credibilità della bufera in mare. A ben vedere, non tutto torna nel racconto, che risulta appesantito da soluzioni didascaliche, da un insistito accompagnamento nelle svolte narrative, al punto da smorzarne tensione e pathos.