“Per non dimenticare”. Così ha sottolineato Antonio Monda, direttore artistico della Festa del Cinema di Roma, alla proiezione di “1938. Quando scoprimmo di non essere più italiani” di Pietro Suber, evento di pre-apertura, lunedì 15 ottobre, della manifestazione capitolina giunta alla 13ª edizione. “1938” è il primo di quattro film scelti dalla Festa del Cinema per riaffermare il tema della memoria e della testimonianza, a 80 anni dalle leggi razziali e a 75 anni dal rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943. Il focus è promosso con Roma Capitale, Fondazione Museo della Shoah e Istituto Luce-Cinecittà. Presenti ieri all’anteprima anche il sindaco Virginia Raggi e il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni. Il Sir e la Commissione nazionale valutazione film Cei hanno partecipato alla proiezione.
“Quando scoprimmo di non essere più italiani”
Classe 1964, Pietro Suber è un giornalista e documentarista che nel corso della sua carriera si è imbattuto in tematiche difficili e complesse, pagine drammatiche della storia recente e passata. Al tema della Shoah Suber, insieme a Marco D’Auria, aveva già dedicato un suo lavoro nel 2015, “Meditate che questo è stato!”, intervistando Piero Terracina e Sami Modiano, sopravvissuti ad Auschwitz.
Ora con “1938” Suber, sempre con D’Auria, compone un quadro di testimonianze sull’Italia al momento della pubblicazione del “Manifesto della razza” e delle conseguenti leggi razziali. Il documentario è realizzato da Blu Film, Istituto Luce-Cinecittà, Rai Cinema e Studio Capta; particolarmente preziosa è stata la presenza dell’Istituto Luce-Cinecittà, che ha permesso di utilizzare i documenti audiovisivi dell’epoca, i cinegiornali, in cui viene mostrata la figura di Mussolini, i suoi discorsi così come istantanee del contesto sociale italiano del tempo.
Dal punto di vista narrativo, Suber e D’Auria hanno compiuto un enorme lavoro di documentazione, efficace ed articolato, durato circa quattro anni, isolando inizialmente 100 storie, per arrivare poi a selezionarne 25, in un documentario della durata di 74 minuti. È uno sguardo indagatore attento e misurato; uno scivolare tra le pieghe della storia, tra vittime e carnefici, per cercare di comporre un racconto il più possibile denso ed equilibrato, dando spazio tanto alle luci quanto alle ombre.
La storia di Lea Polgar e dell’incisore vaticano Mistruzzi
E tra le storie, colpisce con commozione quella di Lea Polgar – presente al Cinema Barberini di Roma –, ebrea friulana scampata alla deportazione grazie alla famiglia Mistruzzi, Aurelio e Melania, la cui figlia si chiamava anch’essa Lea. Aurelio Mistruzzi era un incisore del Vaticano che diede rifugio e protezione alla giovane Lea nella sua casa romana nel periodo della pubblicazioni delle leggi razziali. È una storia di solidarietà e misericordia, che ha spinto poi la Polgar a impegnarsi dopo la guerra affinché venisse riconosciuto l’impegno di questa famiglia, ricordata dal 2017 nel giardino dei giusti a Gerusalemme.
Se la storia di Lea Polgar regala uno sguardo di speranza e fiducia sul coraggio dell’uomo nell’opporsi alla notte buia del Paese, purtroppo il documentario “1938” mostra anche coloro che invece non riuscirono a sopravvivere al clima di odio e violenza feroce di quegli anni. È il caso, ad esempio, dei banchieri Ovazza a Torino. Ettore Ovazza era un influente banchiere, con un solido istituto di credito; al tempo era persino membro del Partito Nazionale Fascista. Con le leggi razziali venne portato all’isolamento, costretto a svendere la sua banca, per finire infine ucciso brutalmente con la propria famiglia nel 1943, durante un tentativo di fuga.
Tra gli snodi della narrazione, il documentario tocca brevemente la questione del ruolo della Chiesa, menzionando i tentativi di opposizione di papa Pio XI, stroncato da un attacco di cuore all’inizio del 1939, e il ruolo ritenuto più incerto di Pio XII, al centro di un dibattito storico ancora non del tutto risolto.
L’impegno del Comune di Roma per la memoria
Grazie al film “1938. Quando scoprimmo di non essere più italiani” si è attivata un’iniziativa pubblica, sposata dal Comune di Roma, tesa a rimuovere le vie intitolate a coloro che firmarono il “Manifesto della razza”. Come ha dichiarato il sindaco Virginia Raggi, sono state individuate due vie, intitolate agli scienziati Edoardo Zavattari e Arturo Donaggio, che verranno presto sostituite da due nuovi nomi, da scegliere tra figure di impegno civile, grazie a un lavoro congiunto operato dalle scuole e dai residenti dei quartieri interessati. “Spesso la memoria ci tradisce” – ha rimarcato la Raggi – “Abbiamo bisogno che qualcuno la tramandi. In questo contiamo sull’aiuto dei giovani”.
Articolo originale pubblicato su Agenzia Sir
Allegati