Cosa guardare questo fine-settimana? Ecco le principali novità o titoli in tendenza da recuperare nel weekend che si apre dal 9 ottobre. Anzitutto arriva nei cinema dalla 77ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia “Lasciami andare” di Stefano Mordini, un noir ambientato in una Laguna livida e piovosa con Stefano Accorsi, Maya Sansa e Valeria Golino. Ancora, la commedia “Un divano a Tunisi” opera prima della franco-tunisina Manéle Labidi. Dal mondo delle piattaforme si segnalano il finale di stagione di “Ted Lasso” su Apple Tv+, spumeggiante serie comica sul calcio inglese con Jason Sudeikis, e “Emily in Paris” con Lily Collins, rom-com targata Netflix che richiama le atmosfere del “Diavolo veste Prada”. Il punto sulle uscite della settimana con la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) CEI e l’Agenzia SIR.
“Lasciami andare”
“Lasciami andare” di Stefano Mordini è stato scelto come film di chiusura di Venezia77, e questo non è un caso: il film è un suggestivo ritratto della Laguna lontano dalle solite cartoline patinate. Vediamo infatti la città livida, grigia, ammantata dalla pioggia, che imperversa incessante; una città piegata dalle intemperie ma pronta al riscatto. Un clima che ben si sposa alla linea del racconto, un noir che mette al centro il rapporto tra due ex coniugi, due genitori, chiamati a superare la morte del proprio figlio. La storia in breve: Marco (Stefano Accorsi) è un affermato ingegnere, felicemente sposato con la cantante Anita (Serena Rossi); l’uomo ha un precedente matrimonio alle spalle con l’esperta d’arte Clara (Maya Sansa), legame naufragato a seguito della rovinosa morte del figlio di pochi anni in un incidente domestico. Tempo dopo a riaprire quel trauma arriva l’enigmatica imprenditrice Perla (Valeria Golino). Prendendo le mosse dal romanzo di Christopher Coake e sceneggiato dallo stesso Mordini con Francesca Marciano e Luca Infascelli, “Lasciami andare” è un fumoso thriller che si snoda nelle secche dei ricordi, nelle pieghe di una ferita di coppia mai del tutto risanata. Muovendosi tra mistero e giallo, il racconto ondeggia troppo tra realtà e sogno, una voluta confusione tesa ad agganciare la pancia dello spettatore. Il meccanismo non funziona però del tutto, perché la linea enigmatica rischia di sfociare nell’inverosimile. A funzionare invece bene è tanto la grande atmosfera che fornisce la città, quanto il talento degli attori Accorsi, Sansa e Golino, che tratteggiano i personaggi con grande generosità. Se l’intenzione era girare un film alla Hitchcock, dalle parti di “Vertigo” o “Rebecca”, il risultato sembra abbastanza lontano, perché la carica di mistero si smarrisce troppo presto e non giunge adeguatamente a destinazione. Dal punto di vista pastorale il film “Lasciami andare” è da valutare come complesso e problematico.
“Un divano a Tunisi”
Ha vinto il premio del pubblico alle Giornate degli autori nell’ambito della 76a Mostra di Venezia. Parliamo della commedia “Un divano a Tunisi” (“Un divan à Tunis”), opera prima della regista franco-tunisina Manéle Labidi, film che racconta il ruolo della donna tra società occidentale e mediorientale. Protagonista è Selma (Golshifteh Farahani) psicoanalista tunisina che si è formata in Francia e dopo i tumulti della “Primavera araba” decide di tornare a lavorare nel suo Paese d’origine per dare un segnale di speranza, di fiducia nella ricostruzione. La disinvoltura con cui conduceva la sua attività e quotidianità a Parigi vengono viste però con sospetto dalla comunità locale tunisina. Come ha sottolineato Eliana Ariola, membro della Commissione film CEI, “Un divano a Tunisi” è un’opera divertente, “una vera e propria ‘commedia terapeutica’ marcata da gradevolezza e garbo. Un’opera dalla regia ben calibrata e sorretta da interpreti tutti convincenti, che riescono a dare ai personaggi la giusta dose di umorismo senza scivolare mai nel macchiettistico”. Il personaggio di Selma, in particolare, “appare senza dubbio ben tratteggiato, una donna ribelle e determinata, forte e padrona del proprio destino, coerente e pronta a rispondere delle sue decisioni. Forse troppo anticipatrice rispetto al quadro socio-culturale nella Tunisia di oggi”. Un film che sembra andare nella direzione delle opere della saudita Haifaa al-Mansour (“La bicicletta verde”, “La candidata ideale”), prediligendo però toni più morbidi e ironici. Dal punto di vista pastorale il film “Un divano a Tunisi” è da valutare come consigliabile e nell’insieme problematico.
“Ted Lasso”
Si è appena conclusa su Apple TV+ la serie “Ted Lasso”, disponibile con tutte le sue 10 puntate (da 30 minuti) per un gustoso “binge-watching”, un’abbuffata da weekend. Interpretata e ideata dal popolare attore-sceneggiatore Jason Sudeikis, uscito dalla fucina comica del “Saturday Night Live”, la serie “Ted Lasso” ci mostra il mondo del calcio inglese attraverso lo sguardo di un allenatore americano abituato solo alla panchina del football a stelle e strisce. Un’opera tutta giocata sullo scontro culturale tra Vecchio e Nuovo mondo, che ci ricorda anche titoli cult e gustosi come “Febbre a 90°” (1997) con Colin Firth dal romanzo di Nick Hornby. È proprio una serie da non perdere, un progetto che si confronta con leggerezza e acume con temi quali il dialogo interculturale, le dinamiche in famiglia, tra amici o nel rapporto coach-giocatore. Dieci episodi esilaranti e a tratti irriverenti, ma gestiti sempre con grande garbo e prudenza da Sudeikis. Ted Lasso è l’allenatore, l’amico, che vorremmo tutti avere: è buono, giusto, tenace, positivo, generoso e soprattutto crede nel prossimo, crede nel lavoro in team. Insomma, Ted tira fuori il meglio da chiunque! Nel complesso, la scrittura della serie è brillante e curata al dettaglio; la narrazione risulta senza dubbio godibile nell’ottica di un pubblico adulto, capace di cogliere ogni tipo di sfumatura narrativa.
“Emily in Paris”
Da una settimana è il titolo più visto e anche più chiacchierato di Netflix. Si tratta della commedia romantica “Emily in Paris” (10 episodi da 30 minuti) ideata da Darren Star – sue sono “Beverly Hills, 90210” e “Sex and the City” – e con protagonista nonché produttrice Lily Collins (sì, la figlia di Phil Collins), nei panni della ventenne Emily, una social media strategist americana che viene catapultata da Chicago a Parigi per supportare la comunicazione di un brand di moda. I temi in ballo sono il mondo del lavoro nel turbinio del settore della moda, il rapporto con i colleghi, la costruzione di nuovi affetti e di certo l’incontro con l’amore. Vero filo rosso è lo scontro-incontro culturale tra americani e francesi, aspetto che è stato non poco criticato per l’eccesso di stereotipi e luoghi comuni. A ben vedere, però, va ricordato che la serie nasce come la prospettiva di una giovane statunitense alla sua prima visita in Europa, in particolare a Parigi, pertanto le dinamiche di racconto sono spesso inevitabilmente inclini alla cartolina, al ricercare quelle comfort zone che rendono Parigi una delle città più ammirate e desiderate. Siamo poi nel genere della commedia romantica, pertanto non possiamo aspettarci sguardi indagatori di taglio sociale alla Dardenne. “Emily in Paris” è semplicemente una rom-com che viaggia sullo stesso binario del “Diavolo veste Prada” (2006), una serie simpatica, frizzante e certo segnata da superficialità, senza troppi sussulti.
Articolo disponibile anche su Agenzia SIR