Dare voce ai senza diritti

lunedì 19 Febbraio 2018
Un articolo di: Redazione

“Sole Cuore Amore” di Daniele Vicari nel ciclo di film proposto da Ucs e Cnvf per la 52a Giornata delle comunicazioni

 

“Desidero (…) rivolgere un invito a promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo ‘buonista’, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce”. La riflessione di papa Francesco nel Messaggio per la 52a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali sembra legarsi bene al tema di “Sole Cuore Amore” (2017) di Daniele Vicari, quarto film scelto dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e dalla Commissione nazionale valutazione film della Cei per il ciclo dedicato alla Giornata. Una storia, un racconto di una vita silenziosa che abita un mondo del lavoro con pochi diritti e molto sfruttamento; un film che mette a fuoco vite sotto scacco di datori di lavoro spregiudicati, che seguono la logica del profitto e della mercificazione, degradando la vita dell’uomo. Un cinema di impegno civile, che come il buon giornalismo, rivolge l’occhio della macchina da presa nelle periferie invisibili dell’esistenza.

 

“Sole Cuore Amore”, il racconto degli “ultimi” sul posto di lavoro

Presentato alla XI edizione della Festa del Cinema di Roma e candidato ai David di Donatello nella categoria miglior attrice per Isabella Ragonese, il film “Sole Cuore Amore” (2017) di Daniele Vicari è una storia asciutta e intensa sulla vita di una giovane madre, spezzata dalle fatiche del lavoro per assicurare un sostegno alla propria famiglia. È la storia della trentenne Eli (Ragonese), che vive a Roma con il marito Mario (Francesco Montanari) e quattro figli. La sua è una vita serena ma difficile, perché in casa lavora solamente lei, visto che il marito è disoccupato e in continua ricerca di lavoro. Eli lavora 7 giorni su 7 in un bar, un posto di lavoro distante da casa, che la obbliga a lunghi viaggi sui mezzi pubblici. Il film scorre così tra le giornate in affanno della donna, che comunque non si sottrae all’impegno, al meccanismo perverso in cui è schiacciata. In più, il datore di lavoro non presta attenzione ai sacrifici della donna, dimostrando freddezza e distacco, finendo con il mettere spesso la giovane in difficoltà e sotto ricatto: la paura costante di perdere l’impiego.

Con “Sole Cuore Amore” Daniele Vicari mette a segno una nuova opera di impegno civile, dopo “Diaz” e il documentario “La nave dolce”; una fotografia della realtà sociale, di un’Italia ritratte anche nelle sue angolature problematiche. Qui al centro del racconto troviamo il tema del lavoro e della famiglia. In primis, c’è un immergersi con occhio indagatore nelle dinamiche del lavoro sommerso, del lavoro in nero, precario, un territorio sociale senza tutele e diritti, dove i lavoratori sono messi spalle al muro da “padroni” privi di comprensione. Eli si muove con il suo cappotto rosso per le vie di Roma, incedendo coraggiosa verso un lavoro grigio e usurante. È accesa però da una luce speciale, il coraggio di una madre che fa tutto per i propri figli, anche esporsi in maniera estrema a fatiche gravose, consapevole poi di una fragilità cardiaca latente.

C’è anche la seconda linea narrativa, appunto la famiglia, per la quale si fa tutto per mantenerla unita e protetta; una famiglia cui la donna contribuisce in maniera significativa, sproporzionata, mentre l’uomo sembra subire più la sconfitta emotiva del licenziamento. Un uomo, un padre, che vive con amarezza e impotenza un lavoro che non c’è, sentendosi un peso nell’economia della famiglia, un esempio fallato per i figli. Eli, invece, non si dà tregua, procede nelle sue giornate lunghe e tutte uguali, perché il suo obiettivo è di portare serenità in casa. Eli è una donna che regge sulle sue spalle tutta la famiglia, un peso che la opprime, ma che le conferisce anche la carica giusta per andare avanti. In lei troviamo, come accennato, un bagliore di fiducia nel domani nonostante tutto. E così la giovane madre procede nel suo calvario senza che nessuno riesca ad aiutarla, o meglio senza che nessuno riesca ad accorgersi di lei e dei suoi sforzi accorati. È un’invisibile.

Daniele Vicari dirige bene questo racconto duro e amaro, impreziosito dalla bravura di Isabella Ragonese. Un film di denuncia, teso a sollevare il velo di omertà sulle tante vite di invisibili sfruttati dalla società contemporanea, vittime di quella logica dello scarto di cui parla anche papa Francesco. Il regista predilige la formula del realismo, in tutti i suoi toni. Qualche immagine è forse troppo diretta, sbilanciata, rispetto alla compattezza narrativa, ma non possiamo non lodare il film nella sua interezza, soprattutto per il coraggio nel raccontare vite ai margini.

 

Valutazione pastorale della Commissione film Cei

Daniele Vicari, nato nel 1967, è regista portato ad avere con la realtà e la cronaca un incontro diretto e frontale, lontano da retorica, da accomodamenti, da risvolti ideali. Quello di Eli è del resto personaggio destinato a restare a lungo nella nostra memoria di spettatori, per il silenzioso, dolente calvario che affronta ogni giorno, per la capacità di chiudere gli occhi di fronte ai sacrifici quotidiani, trascurando le conseguenze e anzi trovando anche la forza per prendere le difese di una collega alla quale viene proibito di presentarsi ad un esame. Ma il vero tratto che distingue e allontana il copione da altri validi esempi è che Vicari non fa esplicitamente denuncia (lascia che lo facciano le immagini), non urla, non sbraita, non affida i suoi protagonisti alla rabbia. Eli accetta gli eventi con consapevolezza e quasi serenità, sa che una situazione non la si cambia con la ribellione di uno solo. Quando le forze non la sorreggono più, Eli si lascia andare. Affidando a chi la trova l’eredità ingombrante e pesante di una ragazza senza colpe, anzi colpevole solo di voler vivere con il marito e i figli una vita semplice e modesta senza dare fastidio a nessuno. Affiancandosi in tal senso ai recente ritratto disegnato dai fratelli Dardenne in “Due giorni, una notte” e Ken Loach in “Io, Daniel Blake”. Uomini e donne che abitano il nostro mondo difficile e complesso, con un cuore forte e mai domo.

 

 


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