La cronaca nera, la sua spettacolarizzazione, non smette di suscitare interesse nel nostro Paese. Dopo “Il caso Yara. Oltre ogni ragionevole dubbio” di Gianluca Neri su Netflix, ora è la volta di “Avetrana. Qui non è Hollywood” di Pippo Mezzapesa, che ricostruisce il terribile omicidio avvenuto nella cittadina pugliese nel 2010. Il tracciato del racconto si muove lungo il binario del romanzo “Sarah la ragazza di Avetrana” di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni; a firmare la sceneggiatura è lo stesso Mezzapesa insieme a Antonella W. Gaeta e Davide Serino. Prodotta da Groenlandia, la serie dal 25 ottobre è su Disney+.
La storia. Avetrana, 26 agosto 2010. Sarah è una quindicenne nel pieno dell’adolescenza, desiderosa di farsi apprezzare dai suoi pari. Quel giorno ha preso accordi con la cugina ventenne Sabrina per andare insieme al mare. Al mare le due ragazze non arriveranno mai, perché Sarah scompare. Sabrina avverte la famiglia e si attiva un passaparola tra la comunità per ritrovare la giovane. Arrivano sul posto i primi giornalisti che amplificano subito il caso e insinuano la possibilità di un delitto consumato in ambiente familiare…
Non è una narrazione asciutta, oggettiva, ma uno sguardo sul crimine attraverso la psicologia dei suoi attanti. La serie cala lo spettatore nella quotidianità statica e afosa di Avetrana nell’agosto del 2010, tracciando le traiettorie della famiglia Scazzi e Misseri. Anzitutto c’è Sarah, una giovane desiderosa di futuro, di essere vista dai propri pari, e magari anche amata sognando il primo amore. Sarah rappresenta l’ingenuità della sua generazione, il desiderio di vita e “ribellione”. Non si accorge però che la sua vitalità rischia di essere di troppo per la cugina Sabrina, che avverte in lei una pericolosa rivale.
Al di là, però, delle psicologie dei singoli personaggi, quello che risulta più evidente è la presenza di un altro attante in campo: il ruolo dell’informazione, dei media in generale. “Avetrana. Qui non è Hollywood” dedica infatti ampio spazio all’esagerazione mediatica che ha avvolto il fatto di cronaca, sottolineandone il ruolo in prima linea nelle indagini e al contempo la responsabilità di una spettacolarizzazione oltre misura. In questo, la serie non sembra solo uno specchio riflettente e deformante di quanto avvenuto: è come se accettasse le stesse “regole del gioco” e ne prenda alla fine parte. Nel marcare l’esagerazione grottesca e pruriginosa dello storytelling della cronaca nera, ne finisce invischiata. Stilisticamente, “Avetrana. Qui non è Hollywood” possiede una buona narrazione come pure una regia presente e capace; ottimi gli attori in campo, soprattutto Vanessa Scalera nel ruolo di Cosima Misseri e Giulia Perulli in quelli di Sabrina. Il racconto ha forza, pathos ma anche una densità tematica sfidante e problematica, da maneggiare con cura. Il rischio voyeurismo del macabro è dietro l’angolo. Complessa, problematica, per dibattiti.