Dentro la Tv: La corsa di Esty verso la libertà. Su Netflix la miniserie “Unorthodox”, dal libro di Deborah Feldman

lunedì 25 Maggio 2020
Un articolo di: Sergio Perugini

La voce delle donne. Uno dei passaggi più belli della miniserie tedesca “Unorthodox” è quando la protagonista Esty si abbandona al canto, pubblicamente, facendo emergere tutto il suo dolore ma anche un composto grido di speranza. Una voce finalmente libera, lontana dalle limitazioni imposte dal marito e dalla comunità religiosa di appartenenza, quella ultra-ortodossa chassidica. “Unorthodox” è una miniserie in quattro puntate firmata da Maria Schrader e targata Netflix, che racconta la storia vera di Deborah Feldman prendendo le mosse dal suo romanzo “Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots”.

La fuga di Esty. Esty (Shira Haas) ha appena 19 anni, ma sul suo volto si leggono i segni di una vita più lunga, travagliata. È crescita con la nonna Babbi (Dina Doron) a Williamsburg, nella zona di Brooklyn, dove vive la comunità ultra-ortodossa chassidica. Esty si è formata con l’idea di diventare una brava moglie, rinunciando a tutto il resto, studio e musica compresi. Appena sposata con il giovane Yanky (Amit Rahav) capisce però che questo non le basta. Assalita da troppe pressioni, organizza una fuga verso Berlino, luogo dove vive la madre Leah (Alex Reid), allontanata a suo tempo dalla famiglia.

Pros&Cons. Non si può non amare il personaggio di Esty, interpretata con grande trasporto e incisività dall’attrice israeliana Shira Haas, che mette in campo una gamma di sfumature ed emozioni sorprendenti. Esty è una giovane donna che non sa nulla di sé e della vita, se non quello che le viene concesso all’interno della comunità ultra-ortodossa cui appartiene. La miniserie “Unorthodox” ci racconta la sua decisione improvvisa di lasciare tutto e di ricominciare il più lontano possibile, nel Vecchio Continente. Quello di Esty è un cammino dal buio alla luce, dalla sottomissione al controllo di sé. All’inizio, nello scenario di Brooklyn, la giovane appare contrita e rigida perché insofferente alle tante, troppe regole (non le è concesso cantare, suonare uno strumento, studiare o decidere quando e con chi sposarsi); a Berlino, invece, Esty sperimenta l’opposto: c’è sì lo spaesamento per una città dal ritmo frenetico, vorticoso, ma anche l’ebbrezza di sentirsi abile a plasmare il suo domani, ripartendo magari proprio dalla musica. Non entrando nel merito di una riflessione religiosa, quello che è interessante qui rilevare è il taglio sociale del racconto, il ritratto di questa giovane donna e della sua corsa disperata verso la libertà. Esty non giudica suo marito, né la sua famiglia né la comunità; e non rinnega in alcun modo la sua fede. Esty semplicemente desidera una vita altra, piena, accesa da sogni e opportunità. Un racconto realistico, asciutto, ma governato con grande controllo e compostezza. Adatto a un pubblico adulto, “Unorthodox” sorprende tra struggimento e poesia.

Articolo disponibile anche su Agenzia SIR


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