“Catch-22”. Il punto di partenza è un libro del 1961, “Catch-22”, di Joseph Heller, racconto della Seconda guerra mondiale attraverso la prospettiva di aviatori americani stanziati in Italia. Nel 1970 poi il regista Mike Nichols lo ha portato sul grande schermo con l’omonimo titolo – in Italia è uscito con il nome “Comma 22” – e interpretato da Alan Arkin, Martin Balsam, Art Garfunkel e Jon Voight. Dallo scorso maggio su Sky Atlantic e in contemporanea sulla piattaforma NowTv è disponibile la miniserie in 6 episodi che vede come interprete, produttore esecutivo e regista George Clooney (la regia è condivisa con Grant Heslov e Ellen Kuras).
Senza vie di fuga. Siamo alle battute finali della Seconda guerra mondiale, con le truppe americane in Italia, nell’isola di Pianosa, che guadagnano progressivamente terreno sulle forze nazi-fasciste. Nella base a stelle e strisce c’è adrenalina, audacia ma anche tensione tra gli aviatori, paura di essere abbattuti in combattimento. Nel gruppo di piloti troviamo John Yossarian detto “Yo Yo” – interpretato con brio e vigore dall’attore in ascesa Christopher Abbott, visto di recente in “First Man” (2018) –, bombardiere riluttante che fa di tutto per essere mandato a casa, fingendosi più volte malato. Un congedo però impossibile da accordare, come riporta in maniera inesorabile e assurda il “Comma 22” del regolamento dell’esercito: dalla guerra non c’è esonero, non c’è scampo.
Pros&Cons. Visivamente “Catch-22” è ineccepibile. La miniserie ha una messa in scena accurata e una costruzione stilistico-narrativa molto pregiata; la qualità poi della fotografia dell’Italia degli anni ’40 è suggestiva e avvolgente, velata più di poesia che di realismo. Infine, le atmosfere swing sembrano quasi sottrarre brutalità al racconto del conflitto, che assume i tratti del ridicolo e grottesco. Dietro a questa bella cartolina dai toni brillanti, emerge però gradualmente tutto l’orrore di una guerra, di una burocrazia militare statunitense priva di senso, che manda al macello giovani come noccioline. Ragazzi americani che cadono all’interno di un conflitto che faticano a comprendere, senza quasi mai incontrare il nemico. La narrazione acquista spessore e intensità principalmente negli episodi finali, recuperando così su un inizio di racconto un po’ troppo d’atmosfera più che di sostanza. Clooney dimostra ancora una volta di scegliere i progetti con arguzia e spessore, controllando produzione e regia in maniera solida. Abbott offre una prova attoriale versatile e convincente; riusciti infine i cammei di Hugh Laurie e Giancarlo Giannini.
Articolo originale pubblicato su Agenzia SIR
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