FESTIVAL DEL FILM DI ROMA – Dolore e rabbia nell’italiano “Corpi estranei”

mercoledì 13 Novembre 2013
Un articolo di: Redazione

Il Festival del Film di Roma gira la boa di metà programma e si avvia verso la conclusione. E’  passata oltre la metà dei film in concorso, e non c’è un titolo che con chiarezza si ponga come candidato al Marc’Aurelio d’Oro.  Due film americani (“Dallas buyers Club” e “Out of the Furnace”) hanno riproposto l’immagine di un’America rurale aspra e arrabbiata. Forse più interessante il primo, perché ambientato all’inizio degli anni ’80 e quindi proposto come la ricostruzione di un fase delicata della vita sociale americana messa di fronte al problema dell’AIDS. Il tutto attraverso la vita di un uomo, dedito ad alcool e droga al quale all’improvviso viene diagnosticato un male fino a quel momento sconosciuto. Il copione è la cronaca della battaglia dell’uomo, dapprima deciso a non rassegnarsi alla morte, e poi consapevole che qualcosa non funziona nel servizio sanitario e nel controllo esercitato dalle grandi case farmaceutiche. Nonostante l’incalzare degli eventi, il racconto non assume toni di denuncia ma resta spettacolare e un po’ prevedibile. Interessanti film di altre zone del mondo, l’Iran (“Gass”), il Messico (“Manto Acuifero”), Danimarca (“Sorrow and Joy”). Qualche breve notazione (in attesa di ritornarci) va dedicata a “I corpi estranei”, il primo film italiano passato in concorso. Mirko Locatelli, il regista, è tetraplegico da oltre venti anni a causa di un incidente, dirige da una sedia a rotelle, e insieme alla moglie Giuditta Tarantelli ha scritto e dato immagini ad una storia incentrata su un padre, Antonio, arrivato a Milano per accompagnare il figlio Pietro, poco più di un anno, malato di cancro al cervello e in attesa di operazione. L’argomento è così acutamente forte, intenso, coinvolgente da indurre a mettere da parte notazioni formali che mai come in questo caso apparirebbero superflue. Nei momenti liberi Antonio va nella cappella dell’ospedale e prova a pregare. Ma capisce di essere anche lui un “estraneo” e pronuncia una bestemmia, poi ripetuta. E’ il grido di rabbia di chi si sente solo e abbandonato.  Pur non approvando la frase (e segnalando i poco gradevoli commenti sonori suscitati in sala ), non lo si dovrà caricare di intenzioni negative che non ha, ma prenderlo come provocazione, capacità di confonto e di riflessione. “La sua bestemmia – dice Locatelli – è un diverso modo di declinare la preghiera”. Merita parlarne in modo più approfondito.


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