DIFENDERE LA MEMORIA
Seppellire i morti: Woman in Gold (2015) di Simon Curtis
La morte non avrà mai l’ultima parola
«La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio. […] Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita» (Francesco, Discorso alla Comunità Ebraica, 17 gennaio 2016).
Papa Francesco, nella sua visita alla Sinagoga di Roma, ricorda il dramma della Shoah, la violenza “dell’uomo sull’uomo”, in contraddizione con ogni religione. È importante dare testimonianza, aiutare la società tutta a difendersi da derive pericolose e degenerazioni negazioniste: «il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro».
A portare sullo schermo il dramma della Shoah, con una nuova prospettiva narrativa, è il film Woman in Gold (2015) di Simon Curtis, scelto dalla Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI – Fondazione Ente dello Spettacolo, in accordo con l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, per il ciclo Cinema e Giubileo. Il film offre un’interessante suggestione sull’opera di misericordia corporale “Seppellire i morti”.
Woman in Gold, ricordare il passato per tutelare il futuro
Presentato al 65. Festival di Berlino (2015) nella sezione “Berlinale Special”, il film Woman in Gold (2015) di Simon Curtis – Marilyn (My Week with Marilyn, 2011) – rende nota al grande pubblico la storia vera di Maria Altmann. È il racconto del coraggio di una donna che si batte per vie legali in difesa della memoria della sua famiglia, scomparsa in Austria durante il periodo oscuro del nazifascismo perché di religione ebraica.
La storia risale al 1998, a Los Angeles. Maria Altmann – interpretata da una intensa e convincente Helen Mirren –, nella stagione finale della vita, decide di intentare causa contro i governo austriaco per l’indebita appropriazione delle opere d’arte della sua famiglia durante il nazismo, tra cui un celebre dipinto di Gustav Klimt. Maria ripone fiducia in un giovane avvocato statunitense Randy Schoenberg (Ryan Reynolds) e insieme cominciano una complessa e problematica battaglia legale internazionale, che la ricondurrà anche a Vienna, la sua città, lasciata in fuga durante la Seconda guerra mondiale.
Woman in Gold si inserisce nel genere dramedy, ovvero il racconto di una vicenda drammatica con inserti di misurato umorismo. Nel film lo spettatore è chiamato ad accompagnare il difficile percorso giudiziario di Maria, le numerose avversità burocratiche e istituzionali, partecipando anche ai turbamenti dell’animo della donna, dinanzi al rivivere le dolorose fratture del passato.
Tenuto sullo sfondo, ma mai fuori campo, c’è infatti il dramma della Shoah, che irrompe sulla scena con i continui flashback di Maria. Lo spettatore è dunque portato a rivive il clima di terrore del nazismo, le feroci violenze perpetrate agli ebrei, spogliati della loro quotidianità, dei loro beni, ma soprattutto della loro dignità e vita.
Un film di denuncia certamente, ma soprattutto un’opera in difesa della memoria del passato e un invito a non dimenticare, a non chiudere gli occhi dinanzi all’orrore. La storia di Maria Altmann sottolinea il coraggio di una donna, il disperato bisogno di testimoniare a favore dell’umanità, contro ogni forma di negazionismo o atto di violenza. L’opera di misericordia corporale “Seppellire i morti” è richiamata nel film proprio dall’azione di Maria, che combattendo strenuamente contro burocrazia, intimidazioni, interessi economici, è riuscita a far rispettare la memoria e la volontà della propria famiglia, a ridare loro la dignità sottratta. Storia vera ed emozionante, dunque, quella di Maria Altmann, deceduta a Los Angeles nel 2011 all’età di 94 anni. Con il ricavato delle opere d’arte ottenute dall’Austria, Maria ha potuto contribuire alla costruzione del Museo dell’Olocausto in California.
Per approfondire con la Cnvf e Cinematografo.it
Commissione Nazionale Valutazione Film CEI: «Il copione […] ispirato al libro scritto anche dalla stessa Maria, è l’occasione per riportare in primo piano avvenimenti ormai poco conosciuti e restituire a quelle opere d’arte la dignità che meritano. In periodi recenti il cinema si è occupato dei tesori trafugati (cfr. “Monuments Men” di George Clooney) per ricordarci che, accanto alla tragedia dell’Olocausto, altri delitti non meno tristi sono stati perpetrati. La tenacia che Maria mette nel recupero attraversa varie fasi che coinvolgono il ricordo della sorella, la famiglia, il clima buio di quegli anni in un coacervo di sentimenti ed emozioni che trascorrono dalla rabbia alla tentazione di rinunciare alla scelta invece di arrivare in fondo per lasciare una traccia visibile soprattutto a vantaggio delle giovani generazioni. Illuminato da molte buone intenzioni, scandito dal giusto incontro tra passato e presente, circondato da un afflato sincero di riequilibrio tra giustizia e morale, il racconto scorre con estrema pulizia narrativa e encomiabile misura espressiva. Forse alla regia sfugge qualche passaggio un po’ convenzionale (la figura dell’avvocato risulta non sempre convincente) ma nell’insieme ne deriva un film coinvolgente che mette insieme nei giusti toni la grande Storia che tutti ha coinvolto e una storia forse minore, magari di taglio privata ma con effetti ugualmente dirompenti su tutta l’umanità. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti» (www.cnvf.it).
Rivista del Cinematografo – Cinematografo.it: «Una querelle che lascia le aule giudiziarie per presentarsi davanti al Tribunale della Storia perché, come dice qualcuno nel film, “le opere d’arte trafugate dai nazisti sono gli ultimi prigionieri di guerra”. Simon Curtis stringe la mdp addosso sulla sua eroina, interpretata impeccabilmente da Helen Mirren (con Ryan Reynolds che sembra lo scolaretto sotto tutela), trasformando l’intero affare della restituzione nella vicenda di un risarcimento umano. Opta per una messa in scena ariosa, dagli ingranaggi elementari, tutta incardinata sui flashback. Non convince per intero e l’esito è scontato. Però vedere qualcuno ottenere giustizia resta sempre uno spettacolo gratificante» (Gianluca Arnone, Woman in Gold, in «Rivista del Cinematografo», 10, ottobre 2015, p. 66).
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