Orig:: Stati Uniti (2013) - Sogg. e scenegg.: J.C. Chandor - Fotogr.(Panoramica/a colori): Frank G. DeMarco (fotografia subacquea: Peter Zuccarini) - Mus.: Alex Ebert - Montagg.: Pete Beaudreau - Dur.: 105' - Produz.: Washington Square Films, Before the Door Pictures.
Interpreti e ruoli
Robert Redford (l'uomo)
Soggetto
Durante una traversata in solitario nell'Oceano Indiano, un uomo si risveglia all'improvviso sul proprio yacht di 39 metri: sta imbarcando acqua dopo una collisione con un container abbandonato in alto mare. Con l'equipaggiamento da navigazione e la radio fuori muso, l'uomo riesce a riparare la falla nello scafo, affronta una violenta tempesta, sopravvive grazie alle proprie doti di marinaio e all'espetrienza dell'età. Ma è solo l'inizio di una serie di problemi sempre crescenti, di fronte ai quali è costretto a fare affidamento sulle correnti oceaniche per rientrare in una rotta di navigazione e sperare di incrociare un peschereccio di passaggio. Circondato dagli squali e con le provviste che scarseggiano, il velista arriva ben presto a guardare in faccia la morte. Per due volte la salvezza sembra a portata di mano, per due volte, l'imbarcazione vicina si allontana senza essersi accorta di niente. Tutto è perduto...
Valutazione Pastorale
Per Robert Redford una nuova, forte scommessa professionale: da parte di un attore vicino ai 77 anni (nato a Santa Monica nell'agosto 1937), testimone indiscusso degli ultimi 50 del cinema americano. Si può evitare di dire il finale, aggiungendo che l'uomo (senza nome, nella v.o. è definito come 'The Man') pronuncia solo poche parole lungo la vicenda, eppure riesce con una presenza di crescente dinamicità a far lievitare tensione, emozione, commozione. In realtà accanto a Redford, che scruta con sguardo inerte l'orizzonte, c'è un coprotagonista: l'oceano, ossia il mare, ovvero la Natura. L'oceano vasto, inafferrabile, imperturbabile è lo spazio del confonto uomo/natura eterno e irrisolto. In mezzo ci sono l'incoscienza, la volontà di affrontare sfide impossibili, la consapevolezza di andare a sfidare equilibri millenari. La lotta per la sopravvivenza finisce per toccare sfumature spirituali, laddove solitudine significa anche necessità di affidarsi ad una presenza in grado di colmare paure e vuoti interiori. Già regista del notevole "Margin call" (2012), Chandor compone un racconto di bella intensità drammaturgica, e il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni come proposta insolita, dal taglio originale e incisivo, in grado di calamitare attenzione e partecipazione.