Interpreti e ruoli
Valeria Bruni Tedeschi (Giulia), Marcello Fonte (Ciccio Italia), Marco Leonardi (Cosimo), Sergio Rubini (Don Totò), Romina Mondello (Cicca), Francesco Colella (Peppe), Carlo Marrapodi (Massaro Salvatore)
Soggetto
Africo, un paesino arroccato nell’Aspromonte, 1951. Una donna muore di parto perché il medico non è arrivato in tempo dalla Marina sottostante. E’ la scintilla per suscitare la ribellione del paese, che ora chiede al Prefetto di avere un medico fisso, e poi che venga costruita una strada per agevolare lo spostarsi delle persone…
Valutazione Pastorale
Alla legittima richiesta di avere un dottore, gli abitanti uniscono anche quella di una strada da costruire per permettere alle persone stesse di spostarsi in tempi più rapidi. E’ uno scenario che impone con forza di spostare indietro l’orologio di almeno 70 anni: la Calabria dell’immediato dopoguerra era proprio così, orgogliosa, testarda con poca voglia di cambiare. Un palcoscenico irto e difficile da abitare, se non al prezzo di un sacrificio quotidiano, di una volontà di vivere con quello che la terra e il lavoro fornivano. L’argomento non era facile da approcciare. Mimmo Calopresti lo ha affrontato col coraggio della presa diretta, mettendo da parte moralismi e giustificazioni a favore di una schiettezza narrativa asciutta, dolorosa, consapevole dei sacrifici da compiere. Memore del suo precedente “Preferisco il rumore del mare” (2000), riarsa metafora di un ritorno da Torino nella natia Calabria, il regista affronta a viso aperto la tematica di quel cinema meridionalista che ha trovato un eccellente artefice in alcuni titoli di Francesco Rosi. Calopresti concede qui qualcosa di più al racconto, che risulta alla fine corale, visionario, impastato di utopia e di sogni. «Un racconto western – dice Calopresti- sulla lotta di un popolo di frontiera per avere una strada e, in filigrana, un racconto molto italiano, sulle promesse mancate e sulle energie infrante del nostro Sud». Regia solida, location da neorealismo, figure tutte esemplari di un modo di essere e vivere: l’uomo forte e volitivo, la donna arrivata dal Nord per portare cultura, il boss che semina paura e amministra la giustizia col fucile a tracolla; il matto, o meglio, il poeta del paese che crede in un futuro dove i sogni saranno i veri padroni. Dal punto di vista pastorale il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione
il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in molte successiva occasioni come possibilità di tornare ad affrontare un tema forte e drammatico della società italiana nelle varie declinazioni da ieri a oggi.