Presentata alla 16a Festa del Cinema di Roma (2021)
Interpreti e ruoli
Jude Hill (Buddy), Caitriona Balfe (Ma), Jamie Dornan (Pa), Judi Dench (Granny), Ciaran Hinds (Pop), Josie Walker (Violet), Colin Morgan (Billy Clanton), Lara McDonnell (Moira), Gerard Horan (Mackie), Conor MacNeill (McLaury), Lewis McAskie (Will), Olive Tennant (Catherine)
Soggetto
Belfast 1969, quando gli occhi del mondo sono puntati al cielo per l’allunaggio, tra le vie della città, in quartieri abitati dalla classe operaia, si accendono duri scontri che trovano l’apice nell’opposizione tra cattolici e protestanti. Quei concitati giorni sono riflessi nello sguardo innocente di un bambino di nove anni, Buddy, avvolto dall’amore dei genitori, due onesti lavoratori che custodiscono ancora un legame solido e luminoso, come pure dei nonni sempre pronti al sorriso e alla burla. E nonostante le preoccupazioni crescenti, il lavoro che scarseggia, i negozi assaltati e le continue cariche della polizia, Buddy fa tesoro di una delle più belle stagioni della vita, scoprendo inoltre l’incanto del cinema.
Valutazione Pastorale
“Belfast è il film più personale che abbia mai realizzato”. Così Kenneth Branagh chiarisce subito il perimetro del suo film, aggiungendo: “Mi ci sono voluti cinquant’anni per trovare il modo giusto per raccontarlo, con il tono che volevo. Può volerci molto tempo per capire anche le cose semplici e trovare la giusta prospettiva”. Con “Belfast” il noto autore-attore cinematografico e teatrale – tra i suoi lavori “Frankenstein” (1994), “Hamlet” (1996) e “Assassinio sull’Orient Express” (2017) – è riuscito finalmente a fare i conti con il proprio passato, confrontandosi con la memoria familiare e identitaria. A suggerirgli indirettamente la chiave del racconto è stata la visione di “Dolor y gloria” di Pedro Almodóvar, il ripercorrere pagine della propria storia attraverso l’“auto-fiction”, un realismo puntellato da inserti romanzati.
Il film ha riscosso da subito grande interesse, al punto da entrate nella rosa favoriti per la corsa agli Oscar. Sette sono le nomination che ha incassato dall’Academy: miglior film, regia e sceneggiatura originale (tutte di Branagh), gli attori non protagonisti Judi Dench e Ciarán Hinds come pure sonoro e canzone originale firmata Van Morrison. Di chance “Belfast” ne ha molte, ma al di là di questo il film merita attenzione per la sua elegante poesia sociale che fonde vibrazioni drammatiche con lampi di umorismo brillante.
La storia. Belfast 1969, quando gli occhi del mondo sono puntati al cielo per l’allunaggio, tra le vie di Belfast, in quartieri abitati dalla classe operaia, si accendono duri scontri che trovano l’apice nell’opposizione tra cattolici e protestanti. Quei concitati giorni sono riflessi nello sguardo innocente di un bambino di nove anni, Buddy (Jude Hill), avvolto dall’amore dei genitori (Caitríona Balfe e Jamie Dornan), due onesti lavoratori che custodiscono ancora un legame solido e luminoso, come pure dei nonni (Judi Dench e Ciarán Hinds) sempre pronti al sorriso e alla burla. E nonostante le preoccupazioni crescenti, il lavoro che scarseggia, i negozi assaltati e le continue cariche della polizia, Buddy fa tesoro di una delle più belle stagioni della vita, scoprendo inoltre l’incanto del cinema.
“Belfast” è un atto d’amore che Kenneth Branagh dedica alla propria città, alla memoria di chi è rimasto lì in quei giorni così difficili, come pure di chi è andato via in cerca di futuro; e ancora, una dedica anche a coloro che si sono persi, che hanno scelto sentieri sbagliati. “Belfast” è dunque un film che pacifica, che ricompone le tessere di un mosaico storico-sociale frastagliato, doloroso, dove figurano anche frizioni tra cattolici e protestanti. Branagh racconta quel contrapporsi nella prospettiva protestante, all’interno della propria dimensione familiare, ma il suo sguardo è del tutto avvolgente e comprensivo. Conciliante. Non ci sono né vincitori né vinti; c’è sofferenza sì, ma stemperata dalla tenerezza e da un diffuso umorismo.
Kenneth Branagh firma probabilmente il film della vita, un guadagno raggiunto in piena maturità artistica e personale, che gli ha permesso di accostarsi ai suoi ricordi con sguardo rinnovato e libero, sostenuto da nostalgica dolcezza. Scritto e diretto con grande mestiere, ricorrendo a un uso raffinato del bianco e nero (con oculati inserti a colori), “Belfast” conquista inoltre per le interpretazioni, tutte di grande spessore. In particolare, Judi Dench cesella la figura della nonna con rara bravura, regalando sul finale le note più vibranti e commoventi: pochissimi minuti, ma di grande intensità (e struggimento), proprio come fu per il fulminante ruolo di Elisabetta I in “Shakespeare in Love” (1999), suo primo Oscar. Insomma, un film che corre veloce come una canzone, denso di senso e di sentimento, che ammalia con dolcezza e non stanca. “Belfast” è consigliabile, problematico e per dibattiti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni di dibattito. Si suggerisce la presenza di adulti o educatori per meglio contestualizzare e approfondire i temi in campo e la cornice storica.