Orig.: Italia/Germania/Svizzera (2018) - Sogg. e scenegg.: Francesca Manieri, Laura Bispuri - Fotogr.(Scope/a col.): Vladan Radovic - Mus.: Nando Di Cosimo - Montagg.: Carlotta Cristiani - Dur.: 96' - Produz.: Vivo Film, Colorado Film con Rai Cinema, Match Factory Productions (Germania), Bord Cadre Films (Svizzera) - 68^ FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI BERLINO 2018 IN CONCORSO.
Interpreti e ruoli
Valeria Golino (Tina), Alba Rohrwacher (Angelica), Sara Casu (Vittoria Casu), Michele Carboni (Umberto), Udo Kier (Bruno)
Soggetto
Vittoria, 10 anni, vive in Sardegna al fianco di due donne di carattere opposto e in conflitto reciproco: Tina, la madre acquisita amorevole e piena di attenzione; Angelica, la madre biologica, dalla vita disordinata e confusa...
Valutazione Pastorale
"La rimessa in discussione del sistema genitoriale classico è un tema tra i più importanti della nostra epoca. In particolare -precisa la regista- mi interessava andare a toccare una delle fondamenta della nostra società: per anni, secoli, la donna è stata incastrata dentro la figura di madre perfetta. Andare a scardinare questo concetto per ridare valore all'imperfezione è, a mio parere, molto contemporaneo ed importante (...)". Dopo l'esordio con "Vergine giurata" (2015), film dallo svolgimento ispido e non facile da seguire (cfr. scheda cnvf), Laura Bispuri resta sul tema della figura femminile, anzi la raddoppia per cogliere due donne nel momento in cui si contendono una terza, figlia di una di loro e tuttavia di problematica gestione. Quando i ruoli della madre biologica (Angelica) e di quella adottiva (Tina) si sono chiariti, e appare evidente il forte contrasto che le mette di fronte, ecco che arriva Vittoria a porre tra le due un segnale di tregua: farsi la guerra è un esercizio inutile, più produttivo sarà capirsi, e creare le premesse per avviare un periodo di sofferto e proficuo scambio di comprensione. Sembra, detto così, che la metamorfosi arrivi come una sorta di lieto fine. Al contrario, la distanza che Vittoria posiziona tra sé e le altre, e il dire loro 'andiamo mamma', identifica la precisa volontà di una rinuncia alla separazione e la scelta di restare con tutte e due. E' decisiva, per uscire dal nodo della staticità, la collocazione della vicenda in una Sardegna arcaica e severa, quasi selvaggia, fatta di mestieri antichi e risorse precarie, abitata da una modernità sofferta e non riconciliata. Dentro questo scenario, Tina e Angelica finiscono per arrendersi alla stizzita decisione della ragazzina Vittoria, ossia la donna del futuro, abitante di un terzo millennio in cui l'elemento femminile potrà gestire la vita con maggiore sicurezza e superare impacci, equivoci e squilibri esistenziali. In questa ottica, Laura Bispuri offre una prova forse più matura e insieme meno arrischiata della precedente. La consapevolezza di dover cedere qualcosa sotto il profilo narrativo non fa velo alla regista, che non rinuncia ad adottare uno stile di forte e vigoroso pedinamento, accompagnato da carrelli e campi lunghi per dare più respiro agli spazi e accrescere il senso di solitudine della vicenda. Si resta alla fine in una sorta di conclusione amara e desolata, eppure non del tutto priva di senso: quel gesto della piccola che si fa guida delle due 'adulte' è il segnale che il futuro resta tra di noi, nella mente e nel corpo, nella voglia di crescere con dignità e positività. Una regia forte, disturbante, forse, 'politica' per quanto attiene alla gestione delle dinamiche espressive, di modi e di atteggiamenti. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni, come avvio ad un dibattito intorno ad un cinema italiano, capace di affrontare in modo diretto, frontale, senza sotterfugi alcuni temi cruciali della società contemporanea.