Sogg.: tratto dal romanzo di Paul Bowles - Scenegg.: Mark Peploe - Fotogr.: (panoramica/a colori) Vittorio Storaro - Mus.: Ryuichi Sakamoto - Montagg.: Gabriella Cristiani - Dur.: 138' - Produz.: Jeremy Thomas
Interpreti e ruoli
Debra Winger (Kit Moresby), John Malkovich (Port Moresby), Campbell Scott (George Tunner), Jill Bennett (Signora Lyle), Timothy Spall (Eric Lyle), Eric Vu-An (Belgassim)
Soggetto
nel 1947, due facoltosi coniugi americani in crisi, provenienti da New York, lui Port Moresby, musicista a corto d'ispirazione, lei Kit, scrittrice ormai priva d'inventiva, intraprendono un viaggio in Africa,con l'amico George Tunner che va in cerca di avventure, mentre essi sperano che un qualche cosa li aiuti a uscire dalla loro crisi coniugale. Sono sposati da dieci anni e si vogliono ancora bene, nonostante un raffreddamento nei rapporti, che li ha indotti a dormire in camere separate. Alloggiati con Tunner nell'entroterra di Tangeri, in un albergo che la guerra ha ridotto al degrado, Port e Kit finiscono con concedersi entrambi in un diversivo extraconiugale. A lui va male: rischia infatti il linciaggio da partedei "protettori" di una prostituta indigena, che lo ha soddisfatto tentando di derubarlo; lei per poco non viene sorpresa dal marito mentre dorme con Tunner. A questo punto tentano di riannodare i loro rapporti e ridestare la passione, durante una passeggiata fra scoscendimenti sassosi. Decidono infine di separarsi da Tunner e si addentrano insieme nel deserto del Sabara, adattandosi ai costumi delle carovane, fra crescenti difficoltà e disagi. Port si ammala di tifo, e Kit cerca disperatamente un medico, un ospedale, qualcuno che l'aiuti, mentre il marito attende in preda al delirio. Trovano finalmente precario rifugio in uno squallido forte semi abbandonato della Legione straniera, sprovvisto di un minimo d'igiene e di assistenza sanitaria. Qui Port muore, nonostante gli sforzi della moglie, che lo assiste con dedizione. Priva di mezzi, Kit si unisce a una carovana di Tuareg in marcia nel deserto, ed è ben presto preda dei giovane beduino Belgassim, che la costringe a vestirsi da ragazzo arabo e la impone al suo contrariatissimo harem. Lasciata libera da Belgassim e scoperta come donna, Kit viene brutalmente aggredita dai Tuareg. Riprende i sensi quasi inebetita in un ospedale di Tangeri e viene ricondotta all'albergo da un'assistente sociale americana. Qui rifiuta di rivedere Tunner, che l'ha sempre cercata, e vaga come un'automa fra i tavoli del bar, frequentato mesi prima insieme al marito, mentre dal suo tavolo d'angolo, immobile ed enigmatico come allora, un vecchio saggio recita con voce monotona le proprie amare considerazioni sulla vita.
Valutazione Pastorale
il film di Bertolucci è un'ennesima conferma che il "fondo mentale" del regista affiora irrimediabilmente nella sua opera: ed è qui chiaramente un fondo nikilista. Più che la crisi coniugale di Kit e Port, "Il tè nel deserto" riflette infatti la crisi esistenziale del regista stesso, espressa nell'angosciosa incomunicabilità dei due coniugi; nel loro viaggio, dichiaratamente "senza programma" e senza meta; nella violenza dei rapporti sessuali, visualizzati ripetutamente nel film con ossessivo accanimento ed esibizione; nel continuo insistente ritorno su immagini di degrado ambientale, contrappuntate dal progressivo degrado umano dei protagonisti, portato fino all'abiezione totale, sia di Port sia di Kit; nelle due scene di linciaggio, nelle sequenze del violento dibattersi di Port nel delirio al forte. Il film sembra trovare un momento di catarsi nella dedizione di Kit al marito delirante. Ma riprecipita presto nell'ineluttabile, presentando la muta disperazione di Kit nella resa alla propria impotenza, fino al suo completo avvilimento di donna nell'esperienza col beduino e con i violenti Tuareg. Anche le considerazioni sulla bellezza e l'infinità del cielo e del deserto di cui il film di Bertolucci offre immagini d'incomparabile suggestione esprimono disperazione nei confronti di quel "The Sheltoring Sky" quel cielo ingannatore cioè, così falsamente "protettivo", che nasconde solo il nulla, come ripete la declamazione finale, tetra, lugubre e senza speranza del saggio immobile al bar, che è l'ultra ottantenne Paul Browles in persona. Amaro e disperato, questo film di Bertolucci, è la professione sul non senso della vita fatta dal regista, fra prolissità e squilibri narrativi che poco giovano al suo innegabile splendore formale, e si presenta assolutamente inaccettabile e negativo per chiunque creda nella vita e nell'uomo.