Orig.: Portogallo/Francia/Spagna (1999) - Sogg.: tratto dal libro "La Princesse de Clèves" di M.me de la Fayette -Scenegg.: Manoel de Oliveira - Fotogr.(Panoramica/a colori): Emmanuel Machuel - Mus.: Pedro Abrunhosa - Montagg.: Valérie Loiseleux - Dur.: 108' - Produz.: Paulo Branco per Madragoa Filmes (Portogallo), Gemini Films (Francia), Wanda Filmes prod.(Spagna).
Interpreti e ruoli
Chiara Mastroianni (signora di Clèves), Pedro Abrunhosa (se stesso), Antoine Chappey, Leonor Silveira, Françoise Fabian
Soggetto
Ai giorni nostri, a Parigi, la signorina di Chartes sposa il signore di Cleves. Il matrimonio sereno e felice è turbato qualche tempo dopo dall'attrazione che la donna comincia a sentire per Abrunhosa, un cantante portoghese di rock di fama internazionale. Abrunhosa se ne accorge e cerca di avvicinarla, ma lei si nega sempre con ostinazione. Rifuggendo dall'idea di un tradimento, Chartes decide di confidarsi con un'amica di vecchia data, oggi suora in un convento in città. Va da lei e le dice che ha un altro. Quando Abrunhosa ha un incidente di macchina, lei va a vederlo in ospedale. Quindi si risolve di dire anche al marito che esiste un altro ma non svela il nome. Passa del tempo. Lei si reca ancora dalla religiosa: adesso il marito sta male, e la malattia si aggrava fino a condurlo alla morte. Chartes sente un forte senso di colpa, e lo confida alla suora. Nel parco vede di nuovo Abrunhosa e scappa. Nessuno da allora entra più in contatto con lei. Molto dopo, la suora riceve una lettera. E' di Chartes, dice che si trova in Africa con alcune missionarie e che è decisa a non tornare più a Parigi. E aggiunge, parlando delle sue compagne: "Da dove viene questa loro forza?". Intanto Abrunhosa tiene un nuovo concerto.
Valutazione Pastorale
Il soggetto è tratto dal romanzo "La Princesse de Cleves" scritto da Madame La Fayette nel 1600. Nel 1999 Manoel de Oliveira ne dirige una versione calata in panni contemporanei e ambientata in una Parigi altoborghese solida e concreta, dove si è abituati a far andare di pari passo i problemi sociali con quelli esistenziali. Non si può non ricordare che questa operazione è affrontata dal regista portoghese appena arrivato al traguardo dei 91 anni ma ancora caparbiamente e tenacemente legato alla volontà di sondare i meccanismi dell'animo umano, di accostarsi con pudore e delicatezza alla soglia di sfumature psicologiche difficili da cogliere, di farsi trovare a fianco dell'uomo e della donna quando prendere la giusta decisione sembra quasi impossibile. I temi sono seri e alti: una disamina dei sentimenti e delle passioni, il malessere esistenziale occidentale, l'innocenza dei comportamenti, il senso della colpa, la richiesta di perdono. Quello di de Oliveira è un universo particolare: dentro il suo modo di fare cinema, asciutto, lineare, rigoroso, non c'é posto per effetti speciali o soluzioni roboanti. Il tono 'morale' dello stile narrativo (primi piani, inquadrature povere, didascalie, voce fuori campo) trova il corrispettivo nei gesti, nelle parole, nelle azioni dei personaggi. Ne deriva una riflessione sui valori della vita e della morte, un contrasto tra ragione e anima che non prevede soluzione precostituite. De Oliveira non fa (né potrebbe fare) esplicite dichiarazioni di fede. Ma la lettera conclusiva é un'apertura di scelta e di speranza che, al pari della canzone successiva cantata da Abrunhosa, diventa testimonianza d'amore ricca e palpitante, tanto più carica di significato perchè arriva da un ultranovantenne che crede ancora nella vita e nella capacità di soffrire per arrivare all'equilibrio. Per tutti questi motivi, il film é da ritenere molto positivo, da valutare come raccomandabile e complesso nella forma espositiva da confrontare in dibattiti.
UTILIZZAZIONE: in programmazione ordinaria, il film si offre come proposta certo impegnativa e fuori dalla norma. Più giusto riservarlo ad occasioni mirate, per poter riflettere meglio sui molti spunti che tratteggiano la storia.