Sogg.: liberamente ispirato al romanzo "Il poema dei lunatici" di Ermanno Cavazzoni - Scenegg.: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ermanno Cavazzoni - Fotogr.(panoramica/a colori): Tonino Delli Colli - Mus.: Nicola Piovani - Montagg.: Nino Baragli - Dur.: 116' - Produz.: C.G. Group Tiger Cinematografica, Roma Cinemax, Parigi.
Interpreti e ruoli
Roberto Benigni (Ivo Salvini), Paolo Villaggio (Prefetto Gonnella), Nadia Ottaviani (Aldina), Marisa Tomasi, Angelo Orlando, Susy Blady, Dario Ghirardi, Dominique Chevalier, Sim, Nigel Harris.
Soggetto
Nella "bassa padana", il mite Ivo Salvini, la cui mente è sempre in bilico tra fantasie e realtà, crede di sentire delle voci, provenienti dai pozzi della campagna illuminata dalla luna, che lo esortano ad andare lontano per inseguire il suo ideale di donna che assomiglia alla luna tanta amata. Nel suo vagabondare ha diverse piccole avventure con strani personaggi, tutti in possesso di una certa dose di follia: l'eterea Aldina di cui è invaghito; lo strampalato oboista che vive in un loculo cimiteriale; il bislacco Nestore con l'attitudine a guardare il mondo dai tetti; lo stravangante e grottesco Gonnella, un prefetto in pensione che sempre crede di vedere congiure dappertutto e si affanna, di conseguenza, per debellarle. Salvini, divenuto amico di Gonnella, viene da questi nominato suo luogotenente: insieme irrompono in una immensa discoteca; poi assistono ad una grande festa organizzata per celebrare la cattura della luna ad opera di una mostruosa trebbiatrice. Durante la ripresa televisiva in diretta di questo avvenimento tutti risultano frastornati, tra suoni, balli e grida, ad eccezione di Salvini e di Gonnella - l'uno perchè innamorato, l'altro perchè angosciato - i soli capaci di comprendere e rispettare il fascino ed il mistero della notte, illuminata dagli astri e piena di silenzio.
Valutazione Pastorale
Narrativamente una rapsodia sui registri del fantastico, intrinsecamente e delicatamente un inno alla poesia, alla vita e ai suoi valori, una sintesi di tutti i temi al regista più cari e congeniali. Un contenitore grandioso e colorito in cui momenti magici si alternano ad inserti tipicamente "amarcordiani", mentre sberleffi e graffi, spinti fino alla beffa ed al sarcasmo subentrano alle delicate malinconie delle memorie infantili, sempre in un gioco incessante fra realtà, iperrealtà ed immaginario. Anche questa volta non manca la denuncia irridente della società dei consumi, dell'appiattimento pressoché totale delle menti, della volgare intrusione della televisione e degli spot pubblicitari nonché del ritmo frenetico assunto dalla nostra vita quotidiana. I "mostri" di altri film felliniani diventano nella "Voce della luna" la gente comune, abbuffata nella madornale "gnoccata" notturna, intontita dalle insegne pubblicitarie e manipolata in ogni circostanza, sotto le innumeri antenne che sovrastano i tetti come bandiere: quella medesima gente che del chiasso fa il suo cibo quotidiano e delle discoteche un tempio frequentatissimo. Fellini barman abilissimo per misture esplosive, critico (ma mai moralista sussiegoso) di un costume e di una società, testimone malinconico con la memoria di tempi ormai andati, forse meno inquieti e più autenticamente genuini padrone dei propri mezzi e creativo sempre, racconta qui una storia grottesca e fantastica ad un tempo. Una storia nel cui tessuto tutti i temi da lui privilegiati sono riconoscibili, da quelli citati con leggerezza e delicatezza di toni, a quelli incisi con le tipiche sue unghiate, incluso quello della "donna", che il Salvini - da vero Pierrot lunaire - insegue e glorifica nel suo candore estatico, per riconoscere alla fine in tutte le donne (cui perfettamente e miracolosamente si adatta la scarpetta d'argento sempre recata con sé) il diritto a ricevere il proprio omaggio di innamorato e poeta. Al "puro folle" del nostro tempo il soggetto (ispirato al romanzo "Il poema dei lunatici" di Ermanno Cavazzoni) accomuna l'altro personaggio, quello di un Gonnella ossessionato dalle ombre, timoroso di congiurati e messaggeri di morte, chiuso nell'angoscia più che per un suo territorio burocratico perduto da tempo, per una amara solitudine affettiva. Nel "mare magnum" della frenesia circostante, in paesi su cui incombono gru mostruose ed edifici di un gelido anonimato, solo i due matti girovaghi sapranno ascoltare il richiamo di un rassicurante silenzio: Salvini guardando ad una luna leopardiana, Gonnella esorcizzando il frastuono in quella che è senz'altro la sequenza magica del film quando, ritrovata per caso nella folla la propria ex-moglie, il brav'uomo si abbandona con lei ai languori del "Bel Danubio Blu", nel cerchio muto, quasi pietrificato, di centinaia di ragazzi eccitati dal rock. Nessuno dei film di Fellini potrà mai essere considerato molto facile: tutti vanno letti in filigrana, per le tante cose non dette, senza farsi suggestionare dai "mostri", dalle frange e dalla bravure virtuosistiche, badando invece all'essenziale e ai contenuti. Qui la chiave di lettura è la poesia (incluso il paradosso della cattura della luna): solo la Poesia può consentirci il fascino del mistero e del silenzio, ricuperando memorie dolcissime, senza i lazzi, i clamori e le convulsioni di questo pazzo mondo. È doveroso ammettere che qualcuno dalla "Voce della luna" possa essere lasciato sorpreso e magari scoella sua goffaggine l'altro).