Orig.: Italia/Svizzera (2000) - Sogg. e scenegg.: Giuseppe Bertolucci - Fotogr.(Panoramica/a colori): Fabio Cianchetti - Montagg.: Federica Lang - Dur.: 108' - Produz.: Massimo Cortesi, Pio Bordoni per Navert Film e Cisa Service.
Interpreti e ruoli
Sonia Bergamasco. (Sofia), Rosalinda Celentano (Chiara), Fabrizio Gifuni (Cesare), Teco Celio (Pietro), Elisabetta Carta (Erika), Carmen Scarpitta (Laura), Marcello Catalano (Gerard), Mariangela Melato (se stessa), Stefania Sandrelli (se stessa)
Soggetto
Sofia, giovane allieva di una scuola di recitazione, apllica alla propria vita gli insegnamenti di tre attrici italiane. Sollecitata da Mariangela Melato, comincia a dedicarsi alla menzogna, pagandone sulla pelle gli effetti perversi. Dopo aver letto un'intervista a Stefania Sandrelli, decide di dire solo la verità, e ne scopre ben presto le potenzialità distruttive. Si avvicina infine all'alta professionalità di Alida Valli, e ritiene giusto abbandonarsi all'illusione dell'arte. Menzogna, verità, illusione: tre momenti non eliminabili nella vita di un'attrice, tre passaggi che procurano dubbi e dolori ma anche danno il senso di un lavoro costante che si muove sulla linea di confine tra arte e vita. Sofia li vive nei riferimenti alla propria vita privata, al rapporto con Chiara e con Cesare, e soprattutto nei colloqui che tutti e tre hanno con il regista, demiurgo nascosto ma non tanto, che osserva, e tira le fila di una vicenda senza inizio e senza fine. Ma ecco, la giornata di lavoro nel teatro di Cinecittà si è conclusa. La troupe se ne va. Sofia è sola. Si appoggia pensosa all'uscita dello studio.
Valutazione Pastorale
Dice Giuseppe Bertolucci: " L'amore probabilmente...ma avrei potuto intitolarlo anche 'Il cinema probabilmente': questa arte o mestiere che -compiuti cento anni- non sa più chi é e non sa ancora cosa sarà. Forse anche per queste ragioni -per risvegliarci dal coma mediatico in cui ci siamo cacciati- ho fatto un film che sceglie come contenuto privilegiato il solo che, di questi tempi, a queste latitudini, mi pare degno di essere raccontato: il dispositivo della rappresentazione, il sentimento della pratica creativa, il pensiero (alto o basso che sia) che sottindende la fabula". Tenendo fede ad una poetica di grande limpidezza e di forte sostanza (che lo ha portato negli anni ad essere il primo a riflettere sulla progressiva sudditanza del cinema alla televisione, preannunciandone i guasti e le distorsioni), Bertolucci jr. spinge a fondo alcuni temi già presenti nel precedente "Il dolce rumore della vita". La rappresentazione, appunto, della vita e dell'arte. Ne esce una riflessione a tutto campo, che va dalla parola all'inquadratura, dal gesto all'espressione. Il regista partecipa alla messa in scena, si fa vedere, legge, commenta, rimane fuori campo. Come in altre tappe di Giuseppe, il racconto scivola nel melodramma: uno spartito dilatato e convinto sui contrasti di ruolo tra attrice e regista. In questa dimensione una soluzione finale non è pensabile, ma l'autore ottiene di metterci di fronte ad una risultato più interessante e ampio: la convivenza, difficile ma inevitabile, tra l'antico della cultura 'storica' (lirica, poesia, tragedia) e il moderno della tecnica digitale (macchina a mano 'leggera', effetti speciali, angolazioni e linguaggi frammentari). Una sorta di poemetto che esprime sincerità e passione. Dal punto di vista pastorale, qualche eccesso visivo e qualche compiacimento nella descrizione dei rapporti sentimentali inducono alla valutazione del discutibile Il film resta comunque complesso, e utile da affidare a dibattiti.
UTILIZZAZIONE: il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria, con attenzione per la presenza dei minori. E' da proporre per quelle occasioni in cui si voglia riflettere sul ruolo dei mass-media, dell'immagine, del rapporto cinema-teatro.