Orig.: Italia/Francia (2015) - Sogg.: Gaia Manzini, Nanni Moretti, Valia Santella, Chiara Valerio - Scenegg.: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Valia Santella - Fotogr.(Panoramica/a colori): Arnaldo Catinari - Mus.: brani di autori vari - Montagg.: Clelio Benevento - Dur.: 106' - Produz.: Nanni Moretti, Domenico Procacci per Sacher Film, Fandango con Le Pacte, Arte France Cinema con RAI Cinema.
Interpreti e ruoli
Margherita Buy (Margherita), John Turturro (Barry Huggins), Giulia Lazzarini (Ada), Nanni Moretti (Giovanni), Beatrice Mancini (Livia), Stefano Abbati (Federico), Enrico Ianniello (Vittorio), Anna Bellato (attrice), Tony Laudadio (produttore), Lorenzo Gioielli (interprete), Pietro Ragusa (aiuto regista), Tatiana Lepore . (segretaria di edizione), Monica Samassa (medico), Vanessa Scalera (infermiera), Domenico Diele (Giorgio), Renato Scarpa (Luciano)
Soggetto
A Roma, oggi. Margherita, regista, è al lavoro sul suo nuovo film, storia dell'arrivo a Roma di un americano che ha appena comprato una società vicina al fallimento e dei forti contrasti messi in campo dagli operai che temono per il posto di lavoro. Ai non pochi problemi sul set si aggiungono quelli derivanti dalla situazione dell'anziana mamma, ricoverata in ospedale per un generale stato di debolezza. Margherita si tiene in contatto con il fratello Giovanni, entrambi si alternano a confortare la degenza della mamma Ada. La lavorazione del film prosegue tra non pochi contrasti e situazioni che provocano alla donna crisi di nervi. Giovanni si sforza di essere più calmo e misurato. Un imprevisto incidente domestico permette a Giovanni, Margherita, alla figlia di lei Livia di trasferirsi tutti nella casa della mamma, la quale a sua volta viene aiutata a lasciare l'ospedale. Quando sono riuniti e le riprese del film sono concluse, la mamma esala l'ultimo respiro.
Valutazione Pastorale
In "Io sono un autarchico" alcuni studenti preparavano esami universitari e intanto cercavano di capire quale poteva essere il loro ruolo nella società. Era il 1976 e a raccontare quella 'realtà' c'era per la prima volta Nanni Moretti. Oggi, 2015, qualcosa da raccontare c'è ancora, ma i dieci film girati in questi anni trascorsi lo hanno reso più incerto, indeciso, titubante. Al tramonto delle ideologie, l'unica vicenda possibile da raccontare è quella delle perdite provocate dalla crisi: il lavoro, la dignità, l'identità. Una denuncia di fronte all'unico caimano ormai possibile, un americano che pensa di poter arrivare, comprare e andare via. Una volta, nel periodo della provocazione a viso aperto, Moretti avrebbe potuto ricoprire tutti i ruoli: l'operaio, il capitalista, il produttore. Ora eccolo ripiegare sul ruolo del regista e insieme affidare ad un altro quello dell'autore del film nel film. Altro, anzi altra: Margherita, 'collega' e sorella. C'è stato un tempo in cui Nanni era uno 'splendido quarantenne'. Gli anni sono passati, e lui è arrivato ai sessanta. Forse con qualche timore in più, di sicuro sempre splendido per lo sguardo umbratile, malinconico, dolente che getta sui cambiamenti della realtà: dalla quale vorrebbe uscire per fare una sola cosa, vivere, come 'deve' fare la madre. Mestiere difficile tuttavia il vivere, non risolvibile chiedendo all'attore di stare accanto al personaggio. Dentro la Stanza del figlio (2001) si chiudeva un capitolo senza ritorno, un macigno piombato su qualunque alternativa. Il ricordo della mamma è ora invece affidato al 'domani', a ciò che parla di lei, la sua casa, quell'appartamento borghese così armonioso, pulito, con i libri in ordine,la scrivania generosa di testimonianze (anche il dativo è al suo posto), il latino come scrigno di tesori lontani ma preziosi. Tra Giovanni e Margherita sbiadiscono le differenze: lui e lei si sovrappongono, si ricompattano nell'immagine della mamma come anello di trasmissione tra generazioni, da lei alla nipotina. Dentro un gioco di incastri successivi, un succedersi di finali non detti, una scrittura linguistica di forte lucidità espressiva e di intenso pudore visivo (bellissima la fotografia di Arnaldo Catinari), "Mia madre" diventa un inno al superamento delle perdite e al cinema, che ne è l'esempio probante: sempre finito e sempre morto, sempre capace di riemergere. Film intenso e stratificato, dopo il quale il silenzio non sarà più per Moretti una scusa plausibile. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni per avviare riflessioni sui molti argomenti che suscita (cinema, rapporto genitori/figli, politica, letteratura, lavoro...).