Orig.: Italia (2000) - Sogg.: Laura Sabatino - Scenegg.: Laura Sabatino, Vincenzo Terracciano - Fotogr.(Panoramica/a colori): Paolo Carnera - Mus.: Ezio Bosso - Montagg.: Marco Spoletini - Dur.: 100' - Produz.: Mediatrade.
Interpreti e ruoli
Antonio Catania (Adriano), Franco Javarone (Ciro), Giovanni Esposito (Guido), Renato Scarpa (Armando), Tiberio Murgia. (Vincenzo), Antonio Petrocelli (dott.Sorvino), Gea Martire (Maria), Venantino Venantini (prof. Barracco)
Soggetto
Adriano, un impiegato, viene ricoverato nel reparto di gastroenterologia di un ospedale napoletano. Nella stanza con lui, la numero 104, ci sono altri pazienti: Ciro, fruttivendolo; Guido, professore; Armando, bancario; Vincenzo, venditore di vino. Quest'ultimo, che é in stato comatoso, é assistito dai due figli. Uniti dalla comune attesa di sapere gli esiti delle diagnosi, i pazienti stringono amicizia. Così nella frustrazione dei pranzi poco gustosi e della mancanza di libertà, i cinque degenti decidono, di nascosto, di organizzare una cena con tutti gli alimenti che é loro vietato mangiare. La cena, fatta il sabato sera quando il personale è ridotto, diventa il momento della loro ribellione. Barricatisi in stanza, i pazienti si intrattengono a lungo a tavola, sordi a qualsiasi richiamo o minaccia che si stanno concretizzando dall'esterno. Interviene anche un commissario di Polizia che, esasperato, arriva a sfondare il muro della stanza accanto per raggiungerli. Un malore, non letale, di Ciro pone tuttavia fine alla grande abbuffata. A seguito di quest'esperienza Adriano trova la forza per farsi dire con chiarezza dal medico di avere un cancro, mentre Guido trova il coraggio per dichiararsi a Maria, l'infermiera più premurosa. Dopo la grande mangiata, Vincenzo, risvegliatosi proprio con l'odore del cibo, cade di nuovo nel suo stato comatoso. L'avventura nella stanza 104 si conclude con una danza liberatoria che coinvolge tutto il reparto e fa infine comparire un sorriso sull'arcigno volto del primario Sorvino.
Valutazione Pastorale
Si tratta di un favola di ambientazione partenopea che, con toni surreali e umoristici, affronta il problema della malasanità negli ospedali italiani. All'interno dello sviluppo narrativo del film, l'argomento è affrontato secondo una doppia lettura, di tipo realistico e metaforico. E'infatti reale la rappresentazione delle sensazioni, dei desideri, delle paure che si provano quando si é ricoverati in ospedale. Aderenti sono anche i personaggi, caratteristici dell'umanità napoletana, che, riuniti in una stessa stanza, stabiliscono tra loro una amicizia molto sentita. E' invece orientato sul metaforico l'aspetto "culinario" del racconto, in cui la grande abbuffata diventa simbolo della reazione dello stato di disagio dei pazienti. Il processo di maturazione dei personaggi arriva così, tramite il clima conviviale della tavola, alla sdrammatizzazione di tante situazioni gravose. Lo sfondo realistico è dunque il punto di partenza per denunciare, in forma allegorica, il bisogno di maggiore umanità all'interno degli ospedali, in particolar modo per quello che riguarda il rapporto tra medici e pazienti. Inoltre la storia diventa anche il pretesto per evidenziare come oggi, spesso, la professione medica venga scelta non più come una missione, bensì come mezzo per ottenere denaro e prestigio sociale. Nonostante qualche confusione nella messa a fuoco dei ruoli all'interno dell'ospedale e alcuni luoghi comuni un po' facili, il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come positivo, accettabile e poetico nella piacevolezza della sua dimensione favolistica.
UTILIZZAZIONE: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria. Da recuperare anche come esempio di prodotto italiano che affronta con garbo e senso di misura temi difficili e attuali.