Orig.: Francia/Portogallo (2001) - Sogg. e scenegg.: Manoel de Oliveira - Fotogr.(Normale/a colori): Sabine Lancelin - Mus.: non indicata - Montagg.: Valérie Loiseleux - Dur.: 90' - Produz.: Paulo Branco.
Interpreti e ruoli
Michel Piccoli (Gilbert Valence), Antoine Cheppey (Georges), Leonor Silveira (Marie), John Malkovich (il regista), Leonor Baldaque (Sylvia), Catherine Deneuve (Marguerite), Sylvie Testud (Ariel), Adrien de Van (Ferdinando), Andrew Wale . (Stephen)
Soggetto
In un teatro parigino va in scena "Il re muore" di Eugene Ionesco. Protagonista nel ruolo del sovrano é Gilbert Valence, attore dalla lunga carriera densa di successi. Finita la rappresentazione, tre persone, che lo aspettavano dietro le quinte, gli danno una dolorosa notizia: in un terribile incidente stradale sono morti la moglie, la figlia, suo marito. Non ci sono reazioni immediate. Passa del tempo. Gilbert ha preso il nipotino a casa con se, lo segue mentre la domestica lo accompagna a scuola, in altre occasioni gioca con lui. Nel resto della giornata, Gilbert va al bar (sempre allo stesso posto), legge il giornale, entra in un negozio per comprare un paio di scarpe, recita a teatro ne "La tempesta" di Shakespeare. Dice di no alle avance di una giovane atrice; e, convocato in uno studio, finisce per dire di no anche alla proposta di un telefilm da fare come protagonista ma in mezzo a violenza, sesso, rumori. Maggiore attenzione dedica invece ad un'altra proposta che gli arriva: la parte di Buck Mullingan in una versione cinematografica dell'Ulisse di Joyce. Con scrupolo professionale, Gilbert cerca di imparare in tre giorni la parte in inglese. Quando si comincia a girare, si sente incerto, e il regista fa ripetere. Ma il tono giusto non arriva, e ad un certo punto Gilbert dice che ha deciso di andare via. Tornato a casa, sale le scale e va in camera sua. A piano terra il nipotino lo guarda passare senza dire parola.
Valutazione Pastorale
Nel 2001 (presentato al festival di Cannes di quest'anno) alla bella età di 93 anni, il portoghese Manoel de Oliveira realizza uno dei titoli più lucidi e profondi dell'ultimo decennio. Chi ha parlato di radiografia della elaborazione di un lutto ha detto qualcosa di giusto ma senza andare fino in fondo. Nel mettere a fianco l'anziano nonno Gilbert Valence/Piccoli e il piccolo nipote tragicamente rimasto senza genitori, de Oliveira compie una operazione insieme affascinante e inquietante: le età opposte della vita si toccano, l'una dà senso all'altra, il dolore si ricompone in una visione più ampia dell'esistenza terrena. E tutto questo ha un senso, perchè lo sguardo del regista è capace di recepire e fermare ciò che un semplice occhio non vede. Ma proprio 'fermare': perché de Oliveira si affida a lunghe inquadrature fisse che riescono a non essere mai immobili, anzi costruiscono spazi dove si muovono gesti inattesi ma importanti. Ecco allora come il dolore viene affrontato e, se non vinto, messo in un angolo: con la coscienza di una follia dell'esistere che significa rispetto, attenzione per le piccole cose belle, che esclude l'odio e il rancore per fare posto all'amore e alla forza d'animo. Non è semplice consolazione, è adesione a qualcosa di più alto, ad una fede che in de Oliveira non è esplicita ma che lo colloca alle soglie del non interpretabile, forse del mistero. Un mistero che è nell'immagine, nella costruzione del fotogramma, negli occhi interrogativi di John Malcovich, il 'regista' dell'Ulisse, nei quali è racchiuso il fascino segreto del cinema. Film di molta sostanza dunque che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come accettabile, e decisamente complesso.
UTILIZZAZIONE: il film può essere utilizzato, con qualche possibile difficoltà di approccio, in programmazione ordinaria. Da proporre più opportunamente in situazioni mirate, per apprezzare in pieno le molte suggestioni del linguaggio e della realizzazione.